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Formazione per le nuove competenze: 3 aspetti da non sottovalutare

La firma del decreto di adozione del Piano Nazionale Nuove Competenze ci ha spinto a riflettere sulla formazione e su 3 aspetti sui cui occorrerebbe lavorare affinché sia utile e funzionale ai bisogni formativi delle persone. Quali sono?

Come forse avrai sentito, il 10 dicembre Andrea Orlando, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha firmato il decreto di adozione del Piano Nazionale Nuove Competenze.

Di cosa si tratta? Di una serie di misure volte a riorganizzare e rafforzare la formazione di lavoratori in transizione e disoccupati ma anche la formazione di giovani e adulti, a partire dalle persone con competenze molto basse.

Hai letto bene, il problema del divario tra competenze possedute e richieste riguarda anche gli adulti e non solo i giovani.

A gennaio 2021 il Sole 24 Ore riportava i seguenti dati: in Italia ci sono quasi 13 milioni di adulti con un livello di istruzione basso e “più di un adulto su due (risulta) potenzialmente bisognoso di riqualificazione per via di competenze obsolete”.

La forte spinta alla digitalizzazione e alla transizione ecologica non fa distinzioni di età o di stato occupazionale: tutti hanno necessità di acquisire le nuove competenze e mantenersi aggiornati, pena l’esclusione dal mondo del lavoro.

Oltre a dover acquisire e aggiornare le competenze tecniche e digitali, dobbiamo anche tener ben allenate quelle trasversali, ritenute ormai quasi più importanti delle prime.

Come mai?

Perché sono proprio le soft skill, cioè le competenze che attingono alla sfera relazionale e comportamentale, che ci consentono di affrontare scenari incerti e in continuo cambiamento come quello che stiamo vivendo.

Insomma acquisire nuove competenze è un passaggio cruciale a cui non ci si può più sottrarre, ma per farlo occorre poter usufruire di un buon sistema di formazione.

Sicuramente la firma del decreto per l’attuazione del Piano Nazionale Nuove Competenze è un segnale incoraggiante, eppure per fare in modo che la formazione sia svolta in modo utile e funzionale alle esigenze dei lavoratori bisogna tenere in considerazione tre aspetti cruciali.

1. La formazione è utile

Purtroppo sono ancora in molti a credere che la formazione sia un’inutile perdita di tempo.

Lo credono alcuni giovani quando non riscontrano un miglioramento delle proprie condizioni di lavoro a fronte di un titolo di studio più alto.

Lo credono alcuni dipendenti, abituati a lavorare con un certo sistema e diffidenti verso nuove modalità di svolgimento delle proprie mansioni.

Lo credono alcuni imprenditori che, quando possono, chiedono al tirocinante di turno di seguire corsi che spetterebbero a loro.

Manca la cultura della formazione, un problema decisamente complesso che non può essere risolto con i fondi del PNRR (dopo tutto non può far mica miracoli) ma che bisogna prendere in considerazione perché fino a quando non verrà riconosciuto il giusto valore alla formazione qualsiasi corso, webinar, conferenza perderà di efficacia e il miglioramento delle competenze stenterà a decollare.

2. Pacchetti standard o formazione su misura?

Organizzare percorsi di formazione è un lavoro molto impegnativo, soprattutto se si vuole rispondere alle esigenze specifiche di ciascuna persona o realtà lavorativa.

Per farlo occorrono risorse economiche, umane (competenti) e tempo, forse per questo motivo si preferisce ricorrere a “pacchetti standard”.

Sebbene si possa imparare qualcosa anche da questi percorsi, sarebbe senz’altro più efficace personalizzare la formazione così da colmare le lacune realmente esistenti e rafforzare le competenze realmente possedute.

Per fare ciò però occorre ascoltare, comprendere qual è la situazione di partenza, valutare quali competenze sono già possedute e quali bisogna acquisire con maggior urgenza e infine programmare una formazione ad hoc per quella persona, quell’azienda, quel contesto lavorativo.

La qualità richiede degli sforzi in più ma, in fin dei conti, ripaga nel tempo (che alla fine vuol dire questo essere sostenibili).

3. Andiamo oltre la classica formazione frontale

Noi italiani siamo affezionati al vecchio modello della lezione frontale: il formatore parla e la platea (spesso assopita) ascolta.

Questo metodo può essere ancora funzionale per l’acquisizione di nozioni teoriche, ma è ormai evidente a tutti che bisogna andare oltre e condirlo con un po’ di pratica!

Questo è ancor più vero per le competenze trasversali.

Come si fa a sviluppare le proprie abilità in ambito comunicativo o relazionale se si rimane seduti, da soli, ad ascoltare un elenco infinito di motivi per cui è importante avere queste competenze?

Eppure nel corso degli anni sono state sviluppate numerose metodologie formative (role playing, cooperative learning, brainstorming etc) perché non impiegarle?

In conclusione siamo lieti che la formazione abbia ripreso il ruolo di primo piano che le spettava, ma facciamo attenzione.

I soldi possono darci una mano ma sono le persone a fare la differenza, da chi redige documenti programmatici a chi svolge in aula la formazione, da chi investe nella formazione a chi si mette in gioco frequentando corsi formativi.

In fondo siamo tutti responsabili delle nostre nuove competenze.

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