Quando parliamo di inflazione in economia ci riferiamo ad un aumento generalizzato dei prezzi nel corso del tempo. Si tratta di un indicatore importante perché dà senso al potere d’acquisto della moneta. L’inflazione in genere è causata dai costi o dalla domanda. Nel primo caso i prezzi aumentano se crescono gli oneri di produzione, dalle materie prime al lavoro o alla tassazione. Nel secondo caso è la maggiore richiesta di un bene ad apprezzarlo o, al contrario, la sua scarsità sul mercato a farlo diventare raro.
L’attuale accelerazione dell’inflazione che ha investito l’Italia, secondo l’Istat, si deve in particolare all’inversione di tendenza dei prezzi dei beni energetici e, in misura minore, all’accelerazione di quelli dei servizi relativi ai trasporti.
L’associazione dei commercianti stima che nell’ipotesi di un aumento medio dei prezzi del 3% si perderebbero circa 2,7 miliardi di euro di consumi che potrebbero arrivare fino a 5,3 miliardi nell’ipotesi – non tanto irrealistica – di un’inflazione al 4%.
Inflazione e aumento delle spese obbligate potrebbero ridurre i consumi nei prossimi mesi, con il rischio di rallentare la crescita del Paese. Occorre, dunque, utilizzare presto e bene le risorse del Pnrr e iniziare a ridurre finalmente la pressione fiscale su famiglie e imprese, a partire dal costo del lavoro. Solo così si possono rilanciare investimenti e consumi.
L’aspetto che preoccupa di più è che l’aumento dei prezzi non è stato seguito dall’aumento dei salari. Questo denota la scarsa dinamicità della nostra economia, che inoltre frena la crescita economica.
Se da un lato non è difficile immaginare gli effetti che può avere un livello di inflazione permanente sui consumi, è meno evidente il suo effetto sul risparmio.
Gli addetti ai lavori sono soliti riferirsi all’inflazione come ad un costo occulto, semplicemente perché non si vede.
Ad esempio, mantenere € 5.000 sul conto corrente ad un tasso di inflazione del 2,9% (ossia il tasso di inflazione registrato ad ottobre in Italia su base annua) significa continuare sì a vedere la stessa cifra (€ 5.000) sull’internet banking, ma significa anche aver perso €145 in un anno in termini di potere di acquisto (cioè con la stessa somma si possono comprare meno prodotti o servizi).
Per evitare questa perdita in termini di potere di acquisto è importante che i nostri soldi crescano in misura superiore ai prezzi. In altre parole, occorre ricercare strumenti in grado di garantire dei rendimenti reali superiori al livello di inflazione. Un aumento dei prezzi, dunque, pone il risparmiatore di fronte a una scelta obbligata: esporsi ad un rischio più alto.
Infine, una conseguenza dell’aumento dell’inflazione è il ricorso all’investimento in beni rifugio (come l’oro, bene rifugio per eccellenza, ma anche gli immobili). Investire una piccola parte del portafoglio in questo tipo di strumenti consente da una parte di salvaguardare il capitale dall’inflazione, dall’altra di investirlo in modo tutt’altro che speculativo.