Sei donna e guadagni come i tuoi colleghi uomini?
Non che voglia farmi i fatti tuoi ma se hai notato qualcosa che non va allora hai toccato con mano quello che è conosciuto come il “gender pay gap”, cioè la differenza salariale di genere.
Ma come? Nel 21° secolo ancora parliamo di differenze di genere?
Ebbene sì, nonostante siano stati fatti molti passi in avanti c’è ancora qualcosa che non funziona come dovrebbe.
In generale le donne sono più preparate ma continuano ad avere stipendi più bassi e a ricoprire meno ruoli manageriali rispetto ai loro colleghi.
Come mai succede questo? Vediamo insieme alcune cause.
Le cause del gender pay gap
La causa più evidente della differenza salariale di genere è la differenza di ore lavorate.
Lavorare full-time e part-time non è la stessa cosa, infatti nel secondo caso lo stipendio è più basso proprio perché le ore lavorate sono inferiori.
Indovina un po’ chi svolge prevalentemente lavori part-time? Le donne!
Per quale motivo? Job Pricing lo spiega bene nel Gender Gap Report 2021 affermando che la ragione di questa scelta “è spesso l’onere di doversi occupare in prima persona di figli e familiari anziani”, quello che viene definito come lavoro di cura (ovviamente non pagato).
Sai quanto tempo trascorrono le donne in queste mansioni? In media 5 ore al giorno. E gli uomini? 2,5 ore al giorno.
Passiamo ora alla seconda causa: la segregazione verticale e orizzontale.
Con segregazione verticale si intende la presenza di poche donne in posizioni apicali dell’azienda. Ciò è dovuto a vari fattori come la discriminazione bella e buona (così si chiama quando non ti danno una promozione perché sei donna) o incapacità di sdoppiarsi per lavorare e fare tutte le faccende di casa da sola (incapacità che hanno anche gli uomini, ma per fortuna ci sono le donne che pensano a tutto!).
A questo si aggiunge la segregazione orizzontale, cioè il fatto che i settori e le mansioni dove si concentrano più donne sono spesso sottovalutate e sotto-remunerate. Ci vorrebbe quella che Marco Peruzzi, Docente di Diritto del lavoro all’Università di Verona, chiama job evalutation, cioè una rivalutazione di tutti i lavori in modo tale da dare il giusto peso (e la giusta paga) a ciascuno di essi.
Per non scoraggiarti troppo ti elenco solo altre due cause della differenza salariale di genere: l’istruzione e una minor propensione a negoziare.
I dati ci mostrano che le donne tendono a specializzarsi in settori umanistici e ciò, secondo Job Pricing, va a discapito della loro occupazione visto che i posti di lavoro più richiesti sono nel settore digitale e tecnologico, infatti “laureatevi nelle STEM” è il ritornello con cui ci tartassano da un po’ di tempo (anche se, a dir la verità, si potrebbe fare anche un bel mix tra materie umanistiche e tecnologiche per favorire l’occupazione).
Infine noi donne abbiamo una minore propensione a negoziare.
Sarà la sindrome dell’impostore che ci impedisce di percepire il nostro valore e di conseguenza richiedere uno stipendio in linea con le nostre abilità? Mistero!
Insomma la situazione delle donne potrebbe essere riassunta nel famoso detto romano “mai na gioia”, eppure una gioia è arrivata proprio la scorsa settimana!
Proposta di legge sulla parità salariale
Il 13 ottobre la Camera ha approvato la proposta di legge per ridurre il gender pay gap nel nostro paese. Evviva!
Un risultato portato avanti da Chiara Gribaudo insieme a tante altre colleghe provenienti da tutti i partiti, una bella dimostrazione del fatto che, se si vuole rispondere ai bisogni delle persone (come bisognerebbe fare sempre), lo si può fare benissimo insieme senza perdere tempo a dire: “io sono del partito A e non faccio nulla con il partito B”.
Ma torniamo a noi, cosa prevede questa proposta di legge?
In pratica modifica alcuni articoli del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna.
Per prima cosa affida a una figura apposita (e non più al ministro del Lavoro) il compito di presentare al Parlamento ogni due anni una relazione su come sta andando la situazione, se la legge viene applicata come si deve e se sta producendo gli effetti sperati.
Poi si cerca di tutelare le donne da ulteriori discriminazioni indirette che:
- possano porle in una situazione di svantaggio rispetto ad altri lavoratori,
- limitino le loro opportunità di partecipare alla vita o alle scelte dell’azienda;
- limitino l’accesso a meccanismi di avanzamento di carriera.
Ma non è finita qui!
Questa legge spinge le aziende ad essere sempre più trasparenti in materia di parità salariale, infatti da una parte estende il numero di aziende tenute a redigere un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile su diversi ambiti e dall’altra parte introduce la “certificazione della parità di genere” che attesta l’impegno da parte dei datori di lavoro nel ridurre il divario esistente.
Ovviamente tutto ciò non basta se non si ricorre al classico metodo “bastone e carota”.
Il “bastone” sono le sanzioni previste se non si invia il rapporto entro un certo lasso di tempo o se si scrivono informazioni mendaci, la “carota” invece sono gli sgravi fiscali e i punteggi premiali negli appalti pubblici che si ottengono se si è così bravi da guadagnarsi la certificazione sopracitata.
Ciliegina sulla torta è l’estensione alle società pubbliche non quotate dell’obbligo ad avere il 40% del Consiglio di Amministrazione costituito da persone che fanno parte del genere meno rappresentato.
Ora non resta altro che aspettare l’approvazione del Senato e forse una gioia ce la portiamo a casa quest’anno.
E nel frattempo cosa possiamo fare?
Ovviamente l’approvazione di questa legge in Senato non cambierà la situazione nel giro di 24 ore.
Le aziende dovranno masticare e digerire le nuove disposizioni, poi si dovrà far attenzione ai furbetti che cercano sempre di fregarti e monitorare la situazione facendo in modo che la legge venga garantita al 100%.
Ci vorrà del tempo, ma intanto noi cittadini possiamo fare la nostra parte.
In che modo? Vi lascio tre spunti che potete applicare, stravolgere e criticare a vostro piacimento.
Primo: investiamo nella nostra formazione ibrida.
Non escludiamo a priori le scienze o le materie umanistiche perché non ci piacciono o perché sono di serie b, ricordiamoci che in origine la materia insegnata era solo una, si chiamava filosofia e conteneva al suo interno sia scienze naturali che umanistiche.
Secondo: il modo migliore per insegnare qualcosa è dare il buon esempio. Madri, non rinunciate al vostro lavoro soltanto perché avete un figlio.
Padri, ci fate vedere quanto siete bravi anche nelle faccende di casa e nell’occuparvi dei vostri bambini e familiari?
Iniziamo a mettere in pratica a casa la parità di genere che sicuramente porta i suoi benefici anche sul lavoro.
Terzo e ultimo spunto, forse il più importante: smettiamola di sottovalutarci. Siamo donne, facciamoci valere! Chiediamo il giusto compenso e portiamo avanti le nostre ambizioni di carriera. Che la parità salariale abbia inizio!