“I robot saranno progettati per gestire compiti non sicuri, ripetitivi o noiosi”.
Che effetto ti fa leggere questa frase?
Paura? Curiosità? Oppure sollievo?
A me la presentazione del robot umanoide realizzato da Tesla ha fatto pensare a quanto diventerà complicato adattarsi alle nuove richieste del mercato, almeno per una parte della popolazione.
In futuro a fare la differenza nell’accesso e permanenza nel mondo del lavoro non sarà solo il possesso di abilità tecniche altamente specializzate ma anche la presenza o meno di competenze trasversali, più conosciute come soft skill.
Sono sicura che ne avrai già sentito parlare ma se ti chiedessi cosa sono le soft skill ti troveresti in difficoltà. Non è vero?
Lo stesso vale per me, forse perché non esiste una definizione ufficiale di soft skills. Di certo, come è scritto sul sito ufficiale delle Prove Invalsi, “le soft skill sono tutte le abilità che non rientrano nelle hard skill”.
Semplice, no?
Quindi, se con il termine hard skill ci riferiamo alle competenze tecniche, tangibili, misurabili, con soft skill intendiamo quelle abilità che si riferiscono alla sfera più personale e relazionale.
Nell’elenco delle soft skill stilato da AlmaLaurea spuntano ad esempio “autonomia, resistenza allo stress, capacità di pianificare ed organizzare, conseguire obiettivi” e molte altre parole che spesso ritroviamo tra i requisiti inseriti nelle offerte di lavoro.
Di fronte a questa lista infinita di vocaboli (quasi privi di senso per quante volte lette e ripetute), la reazione più comune, soprattutto da parte dei più giovani che si approcciano per la prima volta al mondo del lavoro, è la seguente: “Vuoi le soft skill? Bene, allora incollo la lista delle paroline da te indicate sul mio cv così sei contento”.
Purtroppo il copia-incolla non è sufficiente. Basta aprire Linkedin per un nanosecondo ed essere inondati da post di recruiter che suggeriscono al candidato smarrito di giustificare quella competenza con qualcosa di concreto, altrimenti tutti potrebbero affermare di possedere qualsiasi superpotere!
Quindi da una parte abbiamo difficoltà nel mostrare in modo corretto queste competenze, sempre più indispensabili per trovare lavoro, dall’altra parte però resta irrisolto un altro dilemma: come si acquisiscono le soft skill?
Anche in questo caso non è facile dare una risposta.
C’è chi sostiene che sono “innate”, chi dimostra che si possono apprendere. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo.
Trattandosi di competenze legate alla sfera personale e relazionale è naturale che siano influenzate dal nostro carattere o dalle nostre attitudini. C’è chi è molto attento a ciò che dicono gli altri (per cui si può dire che possiede una competenza riassunta in queste due parole: “ascolto attivo”) e chi invece tende a conquistare la scena grazie alle sue doti oratorie (tradotto in soft skillese: “public speaking”).
Ciò non vuol dire che queste abilità non possano essere apprese, allenate o addirittura migliorate. Ma dove farlo?
Oltre alla famiglia, primo luogo di apprendimento per qualsiasi essere umano, ci sono altri posti dove acquisire e sviluppare le soft skill tanto ricercate.
Oggi esistono centri di formazione specializzati che si occupano proprio di questo, ognuno con la sua tecnica e concezione di vita alle spalle, ma ci sono anche luoghi più “semplici”, quasi tradizionali oserei dire, come:
- lo sport, dove si apprende il “lavoro di squadra”;
- le attività teatrali, dove si acquisisce il “public speaking” ma anche la “gestione dello stress”;
- i laboratori d’arte, dove si allenano le “capacità creative”.
Insomma ci sono molti luoghi nei quali apprendere e sviluppare le soft skill, eppure ce n’è uno con enormi potenzialità ancora poco sfruttato: la scuola.
Bisogna ricordarsi che non tutti hanno la possibilità di iscriversi a un corso sportivo, a un laboratorio di recitazione o a un centro di formazione super all’avanguardia sulle soft skill.
La scuola è invece un luogo di passaggio obbligatorio per tutti.
A scuola si ha l’opportunità di sviluppare competenze che non tutti riuscirebbero a far fiorire a causa del diverso contesto sociale ed economico in cui ognuno di noi è immerso e incastonato.
Di sicuro c’è ancora molto da fare, sono ancora troppo pochi i docenti che insegnano le proprie materie con metodi innovativi (o meglio, al passo coi tempi) in grado di sviluppare la capacità di lavorare in gruppo, le abilità comunicative e molto altro ancora.
Eppur si muove.
Già nel 2018 il Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) aveva avviato dei gruppi di lavoro al fine di integrare l’insegnamento delle soft skill nei programmi scolastici. Sebbene questo passaggio, come qualsiasi cambiamento, abbia bisogno di tempo ci auguriamo che si prema di più sull’acceleratore perché il mondo del lavoro cambia alla velocità della luce e noi giovani abbiamo bisogno di avere le soft skill in regola per poter stare al passo