Il fenomeno della delocalizzazione delle imprese italiane è diventato nel corso degli anni sempre più rilevante. Con il termine ‘’delocalizzazione’’ si intende la scelta di grandi e piccoli gruppi industriali che trasferiscono la loro produzione dal territorio nazionale in altri paesi, dove il costo del lavoro è più basso, anche del 75% rispetto alla paga di un lavoratore italiano.
Questo significa che strutture fisiche come fabbriche, Impianti e call center vengono trasferiti all’estero, diminuendo le opportunità di lavoro per i cittadini italiani e per quelli degli altri Stati nazionali.
Nel periodo 2015-2017, ben il 3,3% delle medie e grandi imprese ha trasferito in altri Paesi attività o funzioni aziendali prima svolte in Italia.
Ma quali sono principalmente le imprese che ricorrono alla delocalizzazione?
Delocalizzano all’estero soprattutto le grandi imprese, il 5,6% contro il 3% delle medie, e il 4,6% delle imprese appartenenti a Gruppi contro lo 0,6% delle imprese indipendenti. La dimensione aziendale e l’appartenenza a Gruppi di impresa risultano quindi essere fattori determinanti per orientare la scelta.
Guardando nello specifico ai diversi settori economici vediamo che l’internazionalizzazione ha attratto maggiormente le imprese industriali (4%) rispetto a quelle del settore dei servizi (2%). Nel settore manifatturiero, in particolare, le industrie ad alta e medio-alta tecnologia trasferiscono all’estero con percentuali pari a più del doppio della media generale, rispettivamente all’8,5% e al 6,6% del totale.
Sono stati più trasferiti, in particolar modo, i servizi amministrativi, contabili e gestionali (nel 37% dei casi), il marketing, le vendite e i servizi post-vendita, inclusi i centri assistenza e i Call center (21%) e i servizi informatici e di telecomunicazione (10%).
Sorge spontaneo chiedersi, dove delocalizzano le imprese italiane?
Più della metà dei trasferimenti all’estero, il 60%, si sono indirizzati verso altri Paesi dell’Unione Europea.
Guardando, invece, ai Paesi extra-europei, molte delocalizzazioni hanno interessato l’India (9%), gli Stati Uniti e il Canada (6%), e la Cina (5,6%).
In particolare, le imprese industriali si sono dirette verso la Cina per l’attività principale di produzione di merci (10%), mentre le aziende del settore terziario hanno visto l’India come un’ottima sede per le funzioni aziendali di supporto, come i servizi informatici e di telecomunicazione (36%), e le attività di ricerca e sviluppo (20%).
Nel complesso, i 5 Paesi con il maggior numero di dipendenti di società italiane residenti all’estero sono, in ordine: Stati Uniti, Brasile, Cina, Romania e Germania.
Le ragioni alla base del trasferimento di sedi all’estero secondo i dati Istat, sono la riduzione del costo del lavoro, importante per il 62% delle imprese, la riduzione di altri costi d’impresa (49%), e la necessità di un maggior concentramento delle attività strategiche di Core business in Italia (40%).
Il minor costo del lavoro è in ogni caso il fattore trainante delle delocalizzazioni. Le industrie manifatturiere ad alta tecnologia, in particolare, ritengono fondamentale l’abbattimento del costo del lavoro (81% del totale), e la riduzione degli altri costi d’impresa (68%). Nel settore dei servizi, soprattutto nelle imprese e nelle attività professionali scientifiche e tecniche, risulta importante il miglioramento della qualità e lo sviluppo di nuovi prodotti (47%).
Nel corso del 2019, però, pare che questa tendenza abbia subito una decisa inversione di rotta: dopo tanto tempo, infatti, le imprese del nostro paese hanno finalmente cominciato a tornare indietro, ristabilendo la propria sede in Italia. Se da un lato cala la delocalizzazione, dall’altro aumenta il numero di società che fanno marcia indietro, tornando entro i confini nel nostro paese: è il fenomeno del reshoring.
Stando ai dati di Federazione Anie, negli ultimi 15 anni sono state infatti circa 120 le imprese che hanno fatto dietrofront. Fra le regioni maggiormente protagoniste di questo ritorno, in particolare, troviamo la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Veneto.
Ci sono diverse ragioni che giustificano la decisione di tornare sui propri passi e riallocare la propria impresa qui in Italia. Motivazioni più che valide, considerando che nessun paese è riuscito a superare l’Italia dal punto di vista del reshoring. Per molti brand conviene innanzitutto per potersi fregiare del marchio Made in Italy, che spesso perde il proprio spessore quando si delocalizza l’azienda, anche per via di un calo degli standard qualitativi. Inoltre, ritornare in Italia giova anche alla gestione della catena di produzione, resa meno articolata e complicata rispetto alla situazione di chi opera in un paese straniero.
Esistono quindi diverse motivazioni che spingono le nostre aziende a trasferirsi o tornare: si spera che l’esempio dato da alcune grandi marchi possa spingere anche altre imprese a tornare nel nostro paese e soprattutto a restarci.