Sembra non fare particolare scalpore il modus operandi di Poste Italiane S.p.a. nelle assunzioni dei portalettere. Su 1000 postini assunti, almeno 800 sono precari. Questo è possibile grazie ad una falla nel diritto italiano che consente alle aziende postali di ricorrere all’assunzione a termine, ovvero al contratto a tempo determinato, senza necessità di indicare nel contratto le ragioni che rendono doverosa questa fattispecie speciale di contratto di lavoro.
Tale possibilità è stata introdotta con il comma 558 dell’art. 1 della legge 266/2005 (finanziaria 2006). È così che Poste italiane S.p.a., da quasi un ventennio sforna postini precari, pagati alla stregua di un corriere Amazon e meno di un rider. Quest’ultimi casi però hanno suscitato maggiore indignazione nell’opinione pubblica. Perché?
I postini precari di Poste Italiane sono pagati, di fatto, 6 euro l’ora. Lavorano infatti almeno dieci ore al giorno, molto oltre l’orario di uscita e quindi sprovvisti di assicurazione, perché fanno da tappabuchi da una zona sottorganico all’altra delle nostre città.
Molto spesso sono costretti a saltare la pausa pranzo perché altrimenti non riuscirebbero mai a finire il giro di consegna, data tutta la posta in giacenza. In tempi di Covid-19, a differenza dei corrieri delle grandi multinazionali delle consegne, di solito non hanno in dotazione un palmare ma una bic per far firmare le raccomandate ai clienti.
Molte testimonianze spiegano che: «quando uno sa che il contratto è in scadenza è ricattabile e ovviamente cerca di stare zitto e marciare, perché c’è sempre la speranza di poter essere prima o poi assunti stabilmente».
Infatti, sistematicamente Poste pone in essere procedure di stabilizzazione per una parte del personale assunto con CTD al fine di distogliere l’attenzione da questo metodo che si perpetua negli anni e dare un barlume di speranza a quanti accettano le condizioni gravose in cui versano.
Proprio in questi giorni Poste Italiane ha avviato le procedure per l’assunzione a tempo indeterminato di portalettere o addetti allo smistamento già occupati in precedenza con contratto a termine nel periodo che va dal primo gennaio 2014 al 31 gennaio 2020 e per almeno 9 mesi, continuativi o meno.
Ma le province interessate per ora sono esclusivamente quelle del Centro-Nord. Sulla restante parte d’Italia nessuno è in grado di dare risposte certe. Le sigle sindacali a cui si affida Poste sottolineano che questo metodo è reso necessario dalle condizioni di mercato e dalle leggi che lo consentono.
Affermano che se i competitor nel settore delle consegne adottano questi contratti e queste condizioni economiche, Poste non può fare altrimenti.
In questi anni siamo stati così impegnati ad occuparci delle pessime condizioni in cui operano i facchini di Amazon che non ci siamo accorti di quanto i portalettere precari di Poste Italiane abbiano poco da invidiare ai colleghi del colosso dell’e-commerce.
Ogni anno la principale azienda italiana di servizi postali inforna decine di migliaia di cosiddetti contratti a tempo determinato (Ctd), dei quali solo una parte molto esigua viene infine stabilizzata. Ma nel frattempo la speranza di una stabilizzazione funziona da deterrente rispetto a qualsiasi pretesa.
E così si finisce col lavorare, in molti casi, senza tregua fino all’ultimo pacco in giacenza ben oltre l’orario di lavoro, senza battere ciglio nonostante si sappia che gli straordinari non concordati con la direzione non verranno conteggiati in busta paga. E nonostante si sappia che, nel caso qualcosa malauguratamente dovesse andasse storto a bordo dello scooter, non si potrebbe contare su nessuna copertura assicurativa.
E, infine, dopo aver acquisito esperienza e competenze, si viene sostituiti da un altro lavoratore che deve iniziare da zero, ma dietro la promessa del posto fisso sarà disposto a tutto e per altri dodici mesi avrai uno che lavora a tutte le ore senza fiatare.
Il fatto che ogni anno Poste cerchi nuovi postini dovrebbe dimostrare che la mansione serve all’interno della struttura in maniera organica e non occasionale.
Inoltre va sottolineato che secondo il Consiglio di Stato, Poste Italiane è da ricondurre alla categoria degli organismi di diritto pubblico e pertanto non può adoperare una condotta pari a quella delle imprese private (es. Amazon), bensì dovrebbe garantire un maggior rispetto delle condizioni lavorative dei suoi dipendenti.