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Bufale scolastiche

La presenza di "classi pollaio”, l'alta percentuale di insegnanti precari, le scarse risorse destinate ai salari dei professori: sono davvero solo questi i problemi della scuola italiana? I risultati degli studenti negli altri stati europei sembrano smentire la correlazione tra classi numerose e apprendimento, come anche sembrano suggerire che i miglioramenti più ampi e sicuri nella performance degli studenti avvengono quando i compensi degli insegnanti dipendono dall'impegno e dai risultati, premiando il merito. Ricondividiamo questo interessante articolo di VersoDomani, realtà che si impegna proprio come noi a smuovere le cose in tutela dei giovani.

In Italia generalmente si parla poco di scuola e istruzione, ma quando questo accade sono tre i temi che vengono sollevati più spesso:

1) la presenza di “classi pollaio

2) l’alta percentuale di insegnanti precari

3) le scarse risorse destinate ai salari dei professori

Ma sono davvero solo questi i problemi della scuola italiana?

Noi pensiamo di no, ma, prima di spiegarvi il perché, una piccola precisazione. Chiunque osservi questi “problemi” capisce chiaramente che le preoccupazioni dei media, dei sindacati e dei politici sono concentrate prepotentemente sulle condizioni degli insegnanti, senza tenere conto degli effetti reali che queste richieste avrebbero sul miglioramento dei risultati scolastici degli studenti italiani, come invece dovrebbe accadere.

Ora passiamo ai fatti, partendo dal mito delle “classi pollaio”. Parliamo di mito perché, in Italia, la dimensione media delle classi è di circa 23 alunni, una cifra largamente inferiore alla media OCSE (26 alunni) e alla media dei Paesi europei più simili al nostro (Germania, Francia, Spagna, UK), con la sola eccezione della Finlandia (20 studenti per classe).

È bene ricordare come tutti questi Paesi ottengano risultati scolastici più alti dell’Italia nei test internazionali, con il caso emblematico della Francia che, nonostante una media di circa 30 studenti per classe, ha ottenuto degli esiti significativamente superiori rispetto all’Italia. Inoltre, come riporta l’OCSE stesso, è evidente che un sistema scolastico non ha necessariamente bisogno di classi di dimensioni molto ridotte per funzionare correttamente. Dunque, il continuo chiocciare dei media e dei sindacati su questo punto è una mossa inutile e dannosa per il Paese, perché distoglie l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi che effettivamente hanno un impatto sull’istruzione dei giovani oggi.

Veniamo ora alla questione del precariato e dei bassi stipendi degli insegnanti. È vero, in Italia da una parte un insegnante su quattro è assunto con un contratto a tempo determinato, mentre la media OCSE è di circa un professore su dieci, e dall’altra i salari dei professori italiani sono inferiori rispetto alla media degli altri Paesi sviluppati.

Eppure, la situazione è più complessa di così. Guardando alla situazione globale degli insegnanti, infatti, scopriamo che essi sono molti di più, in rapporto agli studenti, rispetto alla media degli altri Paesi sviluppati, compresa la Finlandia, così che, di fronte ad una media OCSE di 12 studenti per professore, l’Italia tocca un picco di 8 studenti per professore. Non solo, le condizioni di lavoro degli insegnanti italiani sono significativamente meno pesanti in rapporto alla media OCSE, come dimostrano il minor numero di ore di lavoro e di lezione (circa 4 alla settimana), l’assenza di controlli sulla qualità dell’insegnamento e un livello di stress riportato molto basso.

Insomma, che piaccia o meno, fare l’insegnante è oggi una professione sicura, una volta che si è stati assunti, in cui si richiede uno sforzo relativamente contenuto in cambio di un compenso molto basso spalmato su un’ampia platea.

Questo è un problema per la scuola? Sì, ma la soluzione non può essere la sola stabilizzazione dei precari o l’aumento incondizionato dei salari.

L’evidenza internazionale sembra infatti suggerire che i miglioramenti più ampi e sicuri nella performance degli studenti avvengono quando da una parte i compensi degli insegnanti dipendono dall’impegno e dai risultati, premiando il merito, e dall’altra viene migliorato il processo di selezione e formazione nella scuola.

Questo è ciò che auspichiamo per il nostro Paese, una riforma vera e profonda del sistema scolastico, che, cambiando l’attuale sistema di incentivi, ossia uno dei maggiori ostacoli al miglioramento dei risultati degli studenti, porti alla riduzione delle disuguaglianze di opportunità, al rinnovamento della scuola italiana e a una nuova possibilità di benessere, sia per i giovani che per tutta la società.

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