La tecnologia è sempre più presente all’interno delle aziende italiane e il suo campo di applicabilità non si limita solamente all’industria manifatturiera, ma si estende anche ad altri contesti come il settore primario, i servizi, la logistica, la sanità. Intelligenza artificiale (AI), robotica, Internet delle cose (IoT) sono solo alcune delle tecnologie protagoniste della quarta rivoluzione industriale.
Secondo un’indagine effettuata da Google Cloud, durante la pandemia la percentuale di aziende manifatturiere italiane che ha fatto ricorso a tecnologie come l’AI è stata dell’81%, contro il 71% a livello mondiale. Per quanto riguarda la robotica, invece, stando ai dati dell’International Federation of Robotics relativi al 2019, l’Italia è sesta al mondo con 74.420 unità installate complessivamente (+8% rispetto al 2018). Inoltre, l’Associazione Italiana di Robotica Industriale ha previsto che nel 2021 il numero dei robot installati nel nostro paese sarà di circa 9.455 unità, più delle 9.070 installate nel 2019.
A lungo siamo stati esposti alla retorica tecnofobica secondo la quale i robot – e la tecnologia in generale – ci ruberanno il lavoro. Ma i dati disponibili ci mettono di fronte a una realtà diversa: il lavoro non finisce, semplicemente cambia. È già cambiato.
L’effetto della robotica sull’occupazione è stato analizzato nello studio “Stop worrying and love the robot: An activity-based approach to assess the impact of robotization on employment dynamics”, realizzato in collaborazione dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP), dall’Università di Trento e dall’Istituto di Statistica della Provincia di Trento (ISPAT). Secondo la ricerca, nel periodo 2011-2018 l’introduzione della robotica nelle aziende italiane ha generato una lieve crescita dell’occupazione: un aumento dell’1% nell’utilizzo della robotica ha corrisposto a un incremento dello 0.27% degli operatori dei robot, vale a dire tutte quelle professionalità che si incontrano lungo il ciclo di vita dei robot, dal momento della loro progettazione ai servizi di manutenzione post-installazione.
In poco meno di dieci anni gli operatori dei robot sono infatti raddoppiati, a conferma del fenomeno definito “reinstatement effect” secondo il quale l’incremento degli investimenti in tecnologia e robotica porterebbe a un aumento del numero dei lavoratori specializzati che svolgono attività complementari a tali ambiti. Dall’altra parte, l’introduzione dei robot ha avuto come conseguenza la riduzione delle occupazioni più logoranti che richiedono maggiori sforzi fisici, con l’effetto immediato di un miglioramento della sicurezza sul lavoro.
Se da un lato la tecnologia ci risparmia le mansioni più faticose e a minor valore aggiunto, dall’altro, e all’inverso, aumenta la domanda di quelle più specializzate a carattere cognitivo. Come ha scritto Marco Bentivogli nel libro Contrordine Compagni, «Le nuove tecnologie in prima battuta cancellano alcuni lavori, e dopo un intervallo di tempo ne creano di nuovi. Ecco il tema centrale, ed ecco l’obiettivo da porsi: avere un ecosistema 4.0 che accorci la durata di questo intervallo […] Non è la tecnologia che fa male al lavoro, è la sua assenza».
La Politica ha il compito di intervenire al fine di ridurre il più possibile questo intervallo e limitare la perdita di posti di lavoro. Come abbiamo fatto in altre occasioni, anche in questo caso dovremo citare il ruolo fondamentale della formazione e delle politiche attive per il lavoro. Infatti, dal momento che le aziende hanno difficoltà a reperire le figure professionali necessarie a governare questa nuova rivoluzione industriale, si rende indispensabile che i lavoratori entrino in possesso delle competenze utili a garantire la sopravvivenza e la competitività dei nostri comparti.
Con una piacevole novità: molti ritengono che il lavoro di domani richiederà il superamento della classica scissione tra materie umanistiche e materie scientifiche, perché coloro che lavoreranno a stretto contatto con le nuove tecnologie dovranno inevitabilmente possedere un’educazione al pensiero critico e la capacità di adattarsi velocemente a un sistema economico in continua evoluzione.
A questo punto qualcuno potrebbe dire: “Ok, ma allora cosa ci dici degli algoritmi che rendono i lavoratori schiavi di una app?”. Facciamo un passo indietro. Un algoritmo non è altro che un insieme di istruzioni che una macchina esegue per ottenere un determinato risultato. La macchina non si pone degli obiettivi e non decide da sé quali algoritmi utilizzare, siamo noi a stabilire quale sia il suo scopo e a fornirle gli input occorrenti per raggiungerlo. La tecnologia non è né buona né cattiva, siamo noi, ancora una volta, a connotarla in base all’utilizzo che ne facciamo. A maggior ragione, se la tecnologia ci cambia il lavoro non possiamo permetterci di lasciarci sopraffare da orientamenti tecnofobici che mirano a conservare lo status quo (ante) e che si rifiutano di ammettere che ci troviamo nel pieno di un’epoca di grandi cambiamenti. Se non altro, non ne abbiamo più il tempo. La quarta rivoluzione industriale è già in atto e ci aspettiamo che la Politica crei il prima possibile le condizioni necessarie ad accompagnare la transizione del lavoro.