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Quanto costa una donna alle imprese italiane?

Da sempre molto acceso, il dibattito sul gender gap nelle retribuzioni aziendali non si arresta. Questa volta però cerchiamo di rovesciare la prospettiva della polemica: guardiamo il problema dal punto di vista dell’impresa, analizzando tutti i costi che devono affrontare le imprese italiane quando assumono una lavoratrice.

Quando ci chiediamo quanto ‘’costi’’ una lavoratrice donna facciamo subito riferimento al periodo della maternità. In merito a questo aspetto, la legge italiana prevede l’astensione obbligatoria dal lavoro (il cosiddetto congedo di maternità) e successivamente riposi giornalieri e altri periodi di astensione facoltativa dal lavoro retribuiti, finché il bambino non supera gli otto anni di vita. 

Durante il congedo, l’Inps eroga alle lavoratrici l’80 per cento della retribuzione, con i corrispondenti contributi figurativi. Pertanto molti contratti collettivi pongono a carico dell’impresa il restante 20 per cento della retribuzione e della contribuzione. 

Tuttavia il periodo di congedo è commisurato all’anzianità di servizio, ed anche la tredicesima mensilità, la gratifica natalizia e le ferie (articolo 22, comma 3, legge 151 del 2001). 

Di conseguenza, durante il congedo per maternità la lavoratrice riceve il salario intero, in parte pagato dall’Inps e in parte, quando previsto dal Ccnl, dal datore di lavoro, che inoltre provvede interamente alla tredicesima, all’eventuale gratifica e al periodo di ferie, come se la lavoratrice non si fosse assentata dal lavoro. 

E’ importante considerare che la maternità impone all’impresa anche costi indiretti organizzativi. Prima dell’inizio del congedo di maternità, è necessario assumere un altro lavoratore e formarlo. Talvolta una parte dei compiti della dipendente assente è poi suddivisa fra i lavoratori più esperti che possiedono le competenze necessarie, ai quali vanno però pagati gli straordinari. Riorganizzare il lavoro per un’assenza per maternità ha dunque un costo per l’azienda, soprattutto per le competenze professionali che vengono a mancare.

Sottolineiamo, inoltre, che esistono mansioni che richiedono continui aggiornamenti professionali. Per queste mansioni uno stop di almeno un anno lavorativo, come quello che si configura nel caso esaminato, determinerebbe l’inadeguatezza delle competenze della lavoratrice con il ruolo ricoperto al suo rientro a lavoro.

Se volessimo elaborare una stima del costo di una lavoratrice emergerebbe che :

Durante la maternità in azienda il datore di lavoro dovrà erogare lo stipendio alla futura mamma + lo stipendio di chi la sta affiancando e che la sostituirà. Significa corrispondere uno stipendio in più nello stesso periodo.

Durante il congedo di maternità dovrà pagare il 20% dello stipendio della mamma + lo stipendio di chi la sostituisce. Significa corrispondere lo stipendio del sostituto a cui si aggiunge il 20% della neo mamma.

Fatte queste considerazioni è doveroso chiarire la mia posizione. Sono una donna giovane, lavoratrice e pertanto assolutamente a favore di una legge che tuteli la maternità in azienda. Credo però che quella che abbiamo possa essere di gran lunga migliorata. Le lotte sociali, soprattutto quella relativa al gender gap non possono essere addebitate ancora una volta agli imprenditori ed alle imprenditrici! 

Il tessuto produttivo italiano è fatto di piccole e piccolissime aziende. E’ molto difficile che riescano a sobbarcarsi i costi descritti precedentemente.

Una possibile soluzione potrebbe essere una totale copertura di tali costi da parte dello Stato finanziandola con la fiscalità generale. In questo modo il prelievo fiscale generale aggiuntivo per ogni contribuente sarebbe di qualche decina di euro all’anno e garantirebbe l’aumento dell’occupazione femminile. 

Forse è una soluzione semplicistica al problema dell’occupazione femminile. Ma credo che uno Stato ed una società civili abbiano il dovere di salvaguardare tutte le categorie di cittadini. Parimenti debba tutelare le imprese che con il loro lavoro generano ricchezza – abbondantemente tassata – per tutto il Paese. Questo significa soprattutto proteggere,  conservare e gestire al meglio le risorse umane che abbiamo in azienda. Significa altresì difendere la possibilità di crescere economicamente. Ed infine, significa soprattutto incentivare la gestione del lavoro seguendo una morale e i dettami del rispetto per l’altro.

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