Tra leggi nazionali, leggi regionali e contratti collettivi differenziati da azienda a azienda, il vuoto legislativo che fino a poco tempo fa accompagnava il lavoro dei riders non ha tardato a trasformarsi in uno stato di confusione normativa.
A livello nazionale siamo infatti ancora distanti da un approccio sistemico alla materia, e la definizione del mestiere di ciclofattorino appare contesa tra chi ne sottolinea gli aspetti di autonomia e chi invece quelli di dipendenza. Eppure, ciò che abbiamo imparato in questi mesi è che questo conflitto non si può risolvere utilizzando gli schemi mentali a cui siamo abituati.
I lavoratori del food delivery, in realtà, così come quelli della gig economy in generale, non hanno opinioni unanimi e si dividono tra coloro che apprezzano la flessibilità e quelli che invece vorrebbero maggiori tutele e garanzie. Non è un caso se, in queste nuove lotte per i diritti, i lavoratori abbiano evitato di rivolgersi ai sindacati tradizionali preferendo invece aderire a uno dei tanti sindacati autonomi informali nati di recente. Organizzazioni che però non sono considerate abbastanza autorevoli per siglare in autonomia accordi collettivi con le grandi aziende.
A che punto siamo, quindi? Ripercorriamo di seguito i maggiori eventi normativi.
Legge 2 novembre 2019, n. 128
Andando a modificare il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 in tema di contratti di lavoro, con questa norma il Legislatore disciplina per la prima volta l’attività lavorativa dei riders. Nello specifico, la legge attribuisce ai ciclofattorini tutele differenziate a seconda che la loro attività sia riconducibile alla nozione generale di collaborazione coordinata e continuativa etero-organizzata, oppure a quella di lavoro autonomo occasionale.
Nel primo caso, la norma prevede l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, salvo che esistano accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali considerabili rappresentative e autorevoli. Nel secondo caso, invece, la norma garantisce i livelli minimi di tutela previsti per i lavoratori autonomi.
La legge affida la determinazione del compenso alla contrattazione collettiva. In assenza, essa prevede che ai riders venga garantito un compenso orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti dai CCNL di settori affini o equivalenti.
CCNL Rider tra UGL e Assodelivery
Assodelivery – associazione dell’industria del food delivery a cui aderiscono Deliveroo, Glovo, SocialFood e Uber Eats – e UGL Rider hanno sottoscritto il 15 settembre 2020 un accordo in deroga alla norma precedente. Il CCNL sancisce infatti la natura autonoma del lavoro e determina che il rider venga retribuito in base alle consegne effettuate, di fatto approvando il cottimo, con il correttivo dell’introduzione di un compenso minimo calcolato sulla base del tempo stimato per le consegne (che non considera però i tempi tra una consegna e l’altra o gli spostamenti da e verso casa). Vista la scarsa attenzione riservata ai diritti dei lavoratori, l’accordo è stato oggetto di molte contestazioni. Alcuni lo hanno definito addirittura illegittimo non ritenendo UGL e Assodelivery abbastanza rappresentative sul piano nazionale.
Accordo FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti con Just Eat
Le altre sigle sindacali, tuttavia, non hanno tardato a riprendersi la scena. Il 29 Marzo 2021 è stato infatti sottoscritto il primo contratto collettivo nazionale che prevede l’assunzione come lavoratori subordinati di tutti i riders dell’azienda Just Eat, applicando al rapporto di lavoro le regole del CCNL Logistica, Trasporto, Merci e Spedizione.
Questo accordo non solo estende ai riders di Just Eat tutte le tutele tipiche del lavoro dipendente, ma prevede anche l’introduzione di sistemi di protezione migliorativi rispetto a quelli minimi legali, come le coperture assicurative aggiuntive, i rimborsi chilometrici e i premi di risultato. Dal lato opposto, con questo contratto viene meno la flessibilità molto apprezzata da alcuni e il livello medio della retribuzione potenziale è inferiore rispetto a quello di un rider inquadrato come lavoratore autonomo.
Tuttavia, ad oggi il contratto di Just Eat è stato sottoscritto da circa 3 mila riders (sebbene l’azienda avesse mirato a un obiettivo di circa 4 mila contratti).
L’avanguardia Toscana
Il 25 maggio il Consiglio Regionale della Toscana, su proposta del presidente del Consiglio Antonio Mazzeo, ha approvato la prima legge in Italia che garantisce misure di prevenzione e sicurezza per i lavoratori delle piattaforme digitali, con particolare attenzione alla situazione dei riders.
La norma prevede la redazione di un documento tecnico di valutazione dei rischi come base per definire le misure da attuare a tutela dei lavoratori: dalla definizione dei dispositivi di protezione individuale, alla formazione a carico delle imprese, fino alla definizione delle modalità di vigilanza e controllo da parte delle aziende sanitarie locali. Un passo in avanti nella strada verso i diritti di base.
Nodi irrisolti
Come si è potuto notare, il panorama normativo è molto differenziato e dimostra l’assenza di una visione unanime su quale debba essere l’inquadramento dei lavoratori delle piattaforme digitali. Alcuni hanno suggerito, prendendo spunto dalla figura anglosassone del “worker”, che il diritto del lavoro dovrebbe disancorarsi dalla visione binaria tradizionale che prevede da un lato il lavoro autonomo e dall’altro il lavoro subordinato, sviluppando piuttosto una terza via, una figura mista che goda della flessibilità propria dell’autonomia ma che possa usufruire allo stesso tempo delle tutele del dipendente.
Una delle poche certezze che abbiamo è che nessuna delle norme descritte in questo articolo sia riuscita a placare le proteste dei riders e che i nodi da risolvere siano ancora molti.
La strada verso i diritti è ancora in salita.