Mentre la propaganda politica continua da anni a minare ogni passo dell’industria siderurgica italiana, i media cercano di polarizzare l’opinione pubblica su due fronti opposti. Il futuro del nostro Paese ne risente.
Il 31 maggio 2021 la Corte d’Assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, a tre anni e mezzo Vendola e a tre anni Florido, l’ex presidente della provincia di Taranto, nel contesto dell’indagine “Ambiente svenduto”.
Proprio su ILVA i media si concentrano ciclicamente con dei punti di vista sempre polarizzati ed estremisti: pro capitalismo sfrenato vs pro ambientalismo estremista. L’ultimo a cascare su questa via è stato Stefano Feltri: “Mittal sono venuti per spegnere ILVA, l’acciaio non ci serve, c’è n’è troppo e costa poco. Bisogna chiuderla e fare altro come diceva Grillo”. Mi auguro sia stato un lapsus.
La convivenza tra la città di Taranto e l’ex Ilva, il colosso siderurgico dell’acciaio più grande d’Europa, è segnata dal dualismo tra tutela dell’ambiente, ma anche della salute e salvaguardia dei posti di lavoro ormai dagli anni 60. Non entriamo nel dettaglio delle vicende che si sono susseguite (approfondimento), ma piuttosto ci focalizziamo su alcuni aspetti di natura politica.
In breve: dopo il commissariamento (2013) e l’amministrazione straordinaria (2015), nel 2016 il bando di gara viene vinto da ArcelorMittal (con Marcegaglia, poi sfilata).
Nel Piano di Arcelor sono chiesti 6mila esuberi a fine piano. I sindacati alzano le barricate. Il 5 giugno 2017 l’allora ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda firma comunque il decreto di assegnazione. Tra le clausole, uno scudo penale a garanzia dell’azienda con un piano di riqualificazione che fa da controparte. In sostanza: acquisto lo stabilimento, però mi fornisci il tempo per riqualificarlo senza multarmi nel mentre (molto semplificato).
A luglio 2018 il ministro dello Sviluppo Economico, del neonato governo Conte 1, Luigi Di Maio chiede all’Autorità nazionale anti-corruzione di indagare sulle regolarità della procedura di gara e toglie lo scudo penale. Le conseguenze?
A inizio novembre 2019 ArcelorMittal, dopo lungo tira e molla con il governo (nel frattempo diventato Conte 2) annuncia in una lettera la volontà di lasciare lo stabilimento e restituirlo allo Stato italiano: tra le ragioni della decisione pesano soprattutto il ritiro dello scudo penale e le decisioni dei giudici tarantini che, secondo l’azienda, “renderebbe impossibile attuare il suo piano industriale”.
Nel dicembre 2020, lo Stato torna nella gestione delle acciaierie dell’ex Ilva. ArcelorMittal e Invitalia firmano un accordo che consente all’Agenzia controllata dal ministero dell’Economia di entrare al 50% (per poi salire al 60%) nella compagine azionaria di AmInvestCo Italy, la società veicolo di ArcelorMittal che ha in gestione gli impianti.
L’intesa prevede, come riferisce il ministero dell’Economia, guidato in quel momento da Roberto Gualtieri, “un articolato piano di investimenti ambientali e industriali”. Sarà “avviato il processo di decarbonizzazione dello stabilimento, con l’attivazione di un forno elettrico capace di produrre fino a 2,5 milioni di tonnellate l’anno”. Si è stabilito poi “il completo assorbimento, nell’arco del piano, dei 10.700 lavoratori impegnati nello stabilimento”. L’obiettivo del piano di investimenti nel Mezzogiorno è quello di trasformare l’ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio “green” in Europa.
Piccolo cappello tecnico: per produrre l’acciaio bisogna combinare il ferro puro con il carbonio (intorno all’1%): il secondo e’ facilmente ottenibile dal carbone, mentre per il primo e’ molto più’ complicato. In generale i processi attualmente utilizzati prevedono di partire dal minerale di ferro (o dalla ghisa) e rimuoverne le impurezze scaldandolo assieme ad ossigeno e carbone “coke” ad alte temperature (intorno ai 1700°C): in questo modo il carbonio rilasciato dal coke si combina con l’ossigeno contenuto nel minerale formando anidride carbonica (CO2) e l’acciaio che vogliamo. Nel processo per 1 ton di acciaio ottenuto vengono rilasciati circa 1.8 tonnellate di CO2 e, inoltre, vengono utilizzati altri composti per purificarlo ulteriormente; nella produzione degli acciai speciali vengono anche aggiunti altri metalli come Nichel, Cromo, Cobalto, ecc.
Se il processo e’ gestito correttamente il suo impatto ambientale e’ relativamente moderato (Arpa Valle d’Aosta, Arpa Umbria e Arpa Veneto hanno fatto uno studio in merito conclusosi a marzo 2018); inoltre negli ultimi anni si sono fatti e si continuano a fare dei passi avanti per rendere il processo sempre più’ efficiente e meno impattante a livello ambientale (vedere ad esempio il progetto AVOID SOLID BY-PRODUCTS AND CO2, finanziato dall’UE.
Bisogna far/tener presente che l’acciaio è un prodotto essenziale, e quindi irrinunciabile, per la nostra società e che l’Italia ha un forte traino sull’export dovuto al settore siderurgico, che con i forni elettrici non si producono gli stessi beni che con i forni a carbone e che il famoso dualismo acciaio-idrogeno prenderà piede dopo il 2050 data la tecnologia a disposizione e il prezzo dell’idrogeno (consiglio per la parte tecnica: video).
Dopo queste premesse necessarie, arriviamo al punto.
Già l’allora Min. Di Maio, con la revoca dello scudo penale aveva fatto intendere, a qualsiasi gruppo industriale, che in Italia è meglio non investire perché devi sempre fare i conti con i politici e la loro propaganda (“metti lo scudo, togli lo scudo” semicit.).
Oltre a questo, da un po’ di tempo all’opinione pubblica si riporta che la produzione d’acciaio non ci serve, che tanto lo importiamo a basso costo, che non è un asset strategico, che o lo facciamo “green” (che vuol dire?) o si chiude tutto. Intanto, il tondo per cemento armato ha fatto segnare un incremento del 117% tra novembre 2020 e aprile 2021 (Sole 24 Ore) e la contrapposizione ambiente-acciaio in questi termini resta solo un tema italiano.
Si parla solo tra opposti quindi, tra la visione dell’imprenditore dell’800 e ambientalisti che considerano la produzione come un crimine, ne scrive anche Marco Bentivogli sul Foglio del 2 Giugno.
La soluzione non ce l’ho io dal punto di vista tecnico e non ce l’abbiamo noi di GZero. Ma questo non vuol dire che un dibattito serio non debba esserci. Il futuro del nostro Paese passa per le solite riforme strutturali è chiaro, ma dovremmo prestare attenzione e avere sensibilità anche a queste vicende perché incidono fortemente sulla nostra credibilità e sul nostro futuro. L’appello è quello di non polarizzarsi per partito preso, ma di essere razionali anche in temi che tendono ad essere bistrattati dai principali media.