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Le fondamenta del declino: la scuola italiana

La scuola italiana è adeguata a fornirci gli strumenti per diventare cittadini responsabili? Fa abbastanza per garantirci un lavoro che ci permetta di vivere? È idonea a formare, che ci piaccia o no, la classe dirigente del futuro? La maggior parte di noi è convinta di no. I problemi da risolvere sarebbero tanti e diversi, a partire dall’organizzazione delle materie così rigida e antiquata, fino all’abbattimento di un sistema ingessato che non premia il merito. Ricondividiamo questo interessante articolo di VersoDomani, realtà che si impegna proprio come noi a smuovere le cose in tutela dei giovani.

Chiunque oggi voglia impegnarsi, nel proprio piccolo, a risolvere i problemi italiani, non può che confrontarsi con una, se non la maggiore, causa dell’attuale situazione sociale, politica ed economica del Paese: la scuola

Questo principalmente perché la scuola svolge tre compiti fondamentali:

1) fornire gli strumenti per orientarsi nel mondo contemporaneo come cittadini responsabili e aperti al mondo

2) dare la possibilità di scegliere consapevolmente un percorso formativo che consenta di lavorare e guadagnarsi da vivere

3) formare, che piaccia o meno, la classe dirigente del futuro

La scuola italiana ha diverse colpe, alcune gravi, che la rendono inadeguata a raggiungere questi obiettivi e più passa il tempo più queste si accumulano, condizionando lo sviluppo sia dei giovani che, di conseguenza, di tutta la comunità. 

Cercherò qui di riassumere quelle che, a nostro parere, sono le più importanti e urgenti da risolvere.

Primo: la scuola italiana, in media, non forma gli studenti adeguatamente. I risultati dei maggiori test internazionali (PISA tra tutti) ci indicano, infatti, che i risultati degli studenti delle scuole superiori italiane sono di molto inferiori rispetto ai risultati dei loro colleghi negli altri paesi europei a noi simili (Francia, Germania e Regno Unito in primis, ma anche Spagna)(1).

Secondo: l’organizzazione scolastica e il curriculum di base sono rigidi e antiquati. Ne sono la prova la divisione ingessata della scuola italiana, basata su percorsi di studio inalterabili (licei, scuole tecniche e professionali), insieme ad un curriculum di base condiviso da tutti gli istituti fondamentalmente di stampo classicista e letterario, con poco spazio dedicato alle materie tecnico-scientifiche. Un’impostazione, conviene ricordarlo, in gran parte ereditata dall’epoca fascista e che non è mai stata oggetto di una vera riforma.

Terzo: la scuola italiana non favorisce, nei fatti, l’uguaglianza di possibilità e l’autonomia scolastica sancite dalla Costituzione e dalla legge. E in questo caso le prove sono moltissime. Non si vede equità nell’enorme divario di risultati e di livelli di abbandono scolastico tra Nord e Sud, ma anche tra licei e altri istituti. 

Mancanza di equità è anche l’assenza di un sistema d’orientamento per ragazzi e famiglie degno di questo nome, che permetta all’ascensore sociale italiano di ritornare a funzionare e a premiare il merito, nonostante le condizioni di partenza. 

Allo stesso modo l’autonomia delle singole scuole, introdotta alla fine degli anni 90, non è mai stata sviluppata a pieno, perché, nonostante una forte autonomia d’insegnamento sia stata concessa ai docenti, questa non è stata associata ad una equivalente autonomia nella gestione delle risorse scolastiche da parte degli organi direttivi scolastici, cosicché non c’è alcun incentivo, a parte la motivazione personale, per gli insegnanti ad impegnarsi e migliorare.
Questi sono solo i punti principali di un problema che si trascina da fin troppo tempo. E davanti ad un dibattito pubblico sul tema praticamente assente, a degli organi di informazione completamente muti o fallaci su queste questioni e a tutto un arco parlamentare ignaro o complice di questa situazione, non ci resta che rimboccarci le maniche e tentare di cambiare le cose. E con “ci” ovviamente intendo noi giovani, studenti e lavoratori, perché ho il dubbio che, se non ci muoviamo noi, non si muove nulla.

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