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Disabilità: un limite per la carriera?

Se per i giovani entrare nel mondo del lavoro è difficile, per coloro che hanno una disabilità lo è ancor di più. Nonostante ci sia una legge che tutela queste persone, la fascia di età tra i 25 e i 44 anni è la più penalizzata nel mondo del lavoro.

So come ci si sente quando non si riesce a trovare lavoro: frustrati, arrabbiati, delusi, sfiduciati verso tutti e tutto. 

Immagino che questa sensazione sia di gran lunga più intensa se, oltre all’età, al sesso, alla collocazione geografica, al livello di istruzione e molto altro ancora, si aggiunge la disabilità come fattore escludente dal mondo del lavoro.

Eppure per tutelare le persone con disabilità e consentire loro di trovare un’occupazione c’è una legge, la legge n. 68 del 12/03/1999, che ha come finalità “la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”.

Nonostante ciò secondo l’Istat la quota di persone con disabilità tra i 15 e i 64 anni che risultava occupata nel 2019 era solo il 32,2%

A questo punto qualcuno potrebbe argomentare che il lavoro non c’è per nessuno, quindi è normale che anche i disabili non lo trovino. 

Eppure l’analisi “L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia”, svolta dalla Fondazione Consulenti del Lavoro, mostra una situazione differente. I dati ci dicono che i posti di lavoro vacanti, riservati a chi ha una disabilità ma non ancora occupati, ammontano a 145 mila!

Ma allora come è possibile che sempre secondo l’analisi sopracitata, il numero degli iscritti alle liste del collocamento mirato è pari a 775 mila

Qui il problema è strutturale. Il sistema non riesce a farsi carico di tutte le domande che riceve e questo indovina un po’ chi va a penalizzare? I giovani!

Infatti il “maggior disagio occupazionale” delle persone con disabilità si registra tra coloro che hanno dai 25 ai 44 anni. 

Eh già, i giovani con disabilità non solo devono affrontare le stesse difficoltà di qualsiasi altro coetaneo (tirocini infiniti, contratti a termine etc) ma devono anche scontrarsi con l’ostacolo peggiore di tutti: il pregiudizio.

L’idea che una persona disabile non sia in grado di lavorare e che sia solo un peso per l’azienda è purtroppo ancora presente.

Alcuni si chiedono perché si debba lavorare quando si percepisce già un assegno o addirittura una pensione di invalidità. La risposta è semplice: per essere indipendenti!

L’indipendenza (economica in primis) è ciò che permette a qualsiasi essere umano di intraprendere un proprio progetto di vita, qualsiasi esso sia. 

Una delle frasi che viene ripetuta spesso è che “il lavoro nobilita l’uomo”, ed è vero. Il lavoro non serve esclusivamente per pagare le bollette, ma è uno dei modi con cui una persona può realizzare sé stessa e sentirsi valorizzata.

Dove sta scritto che i giovani con disabilità non sentano lo stesso desiderio di indipendenza? Prova a dare uno sguardo al cortometraggio “OLTRE – oltre il pregiudizio / oltre la disabilità” e potrai intuire quanto il lavoro sia prezioso per sentirsi parte attiva della comunità.

Condivido le parole di Sara Bellingeri quando, nel suo articolo, afferma che “per rispettare la legge non basta assumere una persona disabile: occorre garantirle anche un corretto inserimento”.

Non mi stancherò mai di ripeterlo: per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani bisogna agire su più fronti: orientamento – formazione – competenze. Questo ragionamento vale per tutti, con o senza disabilità, non a caso l’articolo 4 della nostra Costituzione sancisce che:

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

Noi di Generazione Zero continueremo a fare del nostro meglio affinché tale diritto venga garantito…a tutti.

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