Abbiamo indagato diversi aspetti del mismatch: dalla scelta della scuola superiore a quella della facoltà universitaria, dalla disamina del mercato del lavoro fino a quella del livello medio delle retribuzioni. Al termine di questo percorso ciò che emerge chiaramente è la necessità urgente che la Politica si faccia promotrice di soluzioni concrete volte a migliorare la situazione formativa e occupazionale delle fasce più giovani. In questo senso, il Recovery Fund potrà essere l’occasione che stavamo aspettando?
Gli effetti della pandemia
Non nascondiamocelo: il Covid avrà forti conseguenze sul mondo del lavoro, non solo in termini occupazionali, ma anche dal punto di vista dei modelli organizzativi. Gli effetti sulla disoccupazione saranno devastanti: si stima che dall’inizio della pandemia l’Italia abbia già perso quasi un milione di posti di lavoro, ai quali potrebbero aggiungersene altri quando verrà meno il blocco dei licenziamenti. Il virus ha fatto anche strage di esercizi commerciali: è proprio di questi giorni lo studio di Confcommercio che imputa al Covid la chiusura definitiva di oltre 300 mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi di mercato.
Per quanto concerne l’universo delle professioni e dell’organizzazione del lavoro la situazione è ancora più complicata. In questi mesi abbiamo assistito all’inasprimento della polarizzazione già in atto che vede da un lato l’aumento della domanda di posizioni a elevata e bassa specializzazione, dall’altro la contrazione della richiesta di figure intermedie. L’innovazione tecnologica e la crescita del settore dei servizi, segmenti che durante il lockdown hanno conosciuto una forte espansione, sono infatti tra i maggiori responsabili di questo divario. Anche il lavoro agile dovrà essere gestito con molta attenzione, in particolare per tutelare i giovani alle prese con la loro prima esperienza in azienda.
Spesa in politiche attive
Le nostre economie avanzate hanno visto l’affermarsi di una classe media che nutriva per sé stessa e per i propri figli determinate aspettative in termini di posizione lavorativa e di reddito. Aspettative che, probabilmente, andranno disattese. Già la crisi occupazionale del 2008 aveva avuto come effetto l’aumento del rischio di mismatch e uno scivolamento della forza lavoro verso posizioni di livello inferiore. Oggi, forse, le conseguenze saranno ancora più gravi, non solo in termini di disoccupazione ma anche a causa dell’incremento delle disuguaglianze sociali.
Ma quanto spende l’Italia in politiche attive per il lavoro? Poco, troppo poco. Solo l’1,53% del PIL contro il 2,15% della Spagna e il 2,66% della Francia. Siamo invece campioni di spesa in politiche passive, vale a dire in sussidi per disoccupati o incentivi dati alle imprese per assumere particolari categorie di persone.
Esistono lauree inutili?
È palese che alcuni titoli di studio conferiscano a chi li consegue maggiori opportunità occupazionali. Ma è altrettanto vero che nessun corso di laurea ci darà mai la garanzia di trovare un lavoro e che non è possibile che tutti si iscrivano alle facoltà di matematica o ingegneria. Oggi più che mai, nel mondo trasformato dalla pandemia, è necessario che tutta la popolazione attiva, e soprattutto i giovani, abbia consapevolezza di quali siano le tendenze in atto nel mercato del lavoro e di quali competenze vadano per la maggiore all’interno delle aziende. In un sistema economico che ha sempre più bisogno di figure aggiornate e specializzate, la formazione è un percorso che inizia CON l’istruzione superiore e che ci accompagnerà per tutta la nostra attività lavorativa.
È comunque doveroso precisare che il mismatch non si verifica solo in Italia, ma in tutte le economie avanzate. Il fenomeno dell’over-education è infatti di portata mondiale. Secondo un’indagine dell’ILO svolta in 114 paesi, sono 258 milioni i lavoratori over-educated e si concentrano nei paesi ad alto reddito.
Fine?
Giunti a questo punto ci chiediamo se, in fin dei conti, il mismatch non sia altro che il risultato di uno scontro culturale tra il ritardo accumulato da istituzioni, imprese, mondo scolastico da un lato e la velocità a cui si evolvono il mondo della produzione e del lavoro dall’altro. Ciò che è certo è che la nostra generazione non ha mai avuto così tanto bisogno di una classe dirigente capace di gestire la complessità: il mismatch è un fenomeno multidimensionale che richiede di essere affrontato con una visione di lungo periodo e con interventi interministeriali coordinati e coerenti. In questo senso, il Recovery Fund dovrà essere un’occasione da non lasciarsi sfuggire.