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Mismatch: Vuoi vedere che non è solo colpa nostra?

Negli ultimi vent’anni in Italia la qualità della domanda di lavoro ha subito una flessione sempre più marcata. Come è stato possibile? Individuiamo solo alcune delle ragioni che ci aiutano a spiegare l’entità del mismatch: la struttura del sistema produttivo, il livello della disoccupazione, il basso tasso di produttività.

La qualità della domanda di lavoro e la (de)crescita della produttività

In comparazione con gli altri paesi dell’UE, il mercato del lavoro italiano si classifica negativamente per la sua scarsa capacità di assorbimento dei laureati: mentre in Italia la quota di occupati tra i 30 e i 34 anni è del 78,9%, quella europea è dell’87,7%. Analizziamo quindi le caratteristiche della domanda di lavoro, puntando il focus sulle imprese. 

La domanda di lavoro
La struttura economica del nostro Paese si caratterizza per la frammentazione del tessuto produttivo composto da un numero elevato di PMI, la maggior parte delle quali appartenente ai settori di produzione tradizionali che di norma si distinguono per basso valore aggiunto, basso contenuto tecnologico e, quindi, scarsa capacità di investimento. Non a caso, i lavoratori hanno più probabilità di essere sovra-istruiti proprio nelle aziende che presentano queste caratteristiche. Anche la proprietà familiare è spesso di ostacolo all’aumento della produttività e allo sviluppo di posti di lavoro altamente qualificati. Inoltre, è necessario ricordare che nel Meridione il numero e la qualità delle imprese si riduce notevolmente allargando la forbice di opportunità occupazionali tra Nord e Sud Italia.

Spiega ISTAT

“Un sistema produttivo come quello italiano, caratterizzato da un’elevata frammentazione e da problemi di adeguato utilizzo del capitale umano, spesso non appare in grado di offrire un congruo numero di posizioni lavorative qualificate e di prospettare progressioni di carriera adeguate, portando sempre più individui, soprattutto i giovani più istruiti, a migrare all’estero. D’altro canto si assiste al paradosso che vede le imprese lamentare difficoltà nel reperire forza lavoro qualificata in relazione alle proprie esigenze produttive”.

Quali sono gli effetti? In un contesto territoriale incapace di assorbire un numero elevato di lavoratori con alte qualifiche si registra un progressivo scivolamento di tutta la forza lavoro verso posizioni di livello inferiore (Maestripieri, Ranci, 2016). Questo fenomeno era già stato messo in evidenza nel 2014 dalle ricerche di ISFOL. Nel periodo 2008-2013, infatti, a causa della progressiva perdita di posti di lavoro, il livello dell’occupazione si è mosso verso profili professionali più bassi, con la conseguenza che una crescente quota di lavoratori altamente qualificati si è trovata ad occupare posizioni intermedie, e altri lavoratori mediamente qualificati sono scivolati in posizioni che non richiedevano particolari competenze (unskilled). In quegli anni la percentuale di over-educated è aumentata per tutte le tipologie contrattuali. Per i giovani nella fascia di età 15-34 la riduzione delle professioni di alto profilo si è attestata tra il 33,8% e il 28,8%. Da ciò possiamo pertanto dedurre che al crescere della disoccupazione aumenti anche il rischio di mismatch.  

ISFOL stessa si interroga sul paradosso che vede da un lato un ampio numero di laureati e dall’altro le aziende che sostengono di non trovare il capitale umano adeguato alle loro necessità. In base alla ricerca, tutte le professioni analizzate avrebbero il bisogno effettivo di accrescere le loro competenze per adeguarle alle esigenze del mercato del lavoro. In un certo senso, potremmo affermare che la formazione dovrebbe essere continua. Allo stesso tempo, ISFOL rileva che le imprese, dal canto loro, non abbiano avuto la capacità di trasmettere modelli culturali che potessero facilitare i lavoratori a mettere a frutto i propri saperi nel contesto aziendale.

A proposito di produttività
In Italia la produttività, cioè la capacità di crescita economica delle aziende e quindi del sistema economico nel suo complesso, resta bassa. Di conseguenza anche i processi di innovazione rimangono in stallo. Secondo quanto riportato dal bollettino statistico del Centro Studi di Fondazione Ergo, nel periodo 1995-2016 la produttività italiana è cresciuta mediamente a un modesto tasso annuo dello 0,3%. Eravamo e siamo ultimi in Europa per aumento di produttività (crisi o non crisi).

Le motivazioni sono tante e complesse (per un approfondimento). Tra queste viene citato anche il basso livello di competenze dei laureati causato dal famoso mismatch scuola-lavoro, la fuga dei cervelli, la carenza di istruzione professionale. Ma tra le cause troviamo anche un bassissimo livello di spesa in ricerca e sviluppo, l’incapacità generalizzata di adeguamento tecnologico, i ritardi accumulati nel processo di digitalizzazione. 

Se inseriamo questo scenario nella struttura economica di cui abbiamo accennato, ecco che otteniamo un quadro abbastanza completo del contesto in cui dovrebbero incontrarsi domanda e offerta di lavoro.

Una curiosità
Il saldo migratorio con l’estero degli italiani è negativo dal 2008 e ha prodotto una perdita netta di circa 420 mila residenti in dieci anni. Quasi la metà di questa perdita – 208 mila persone – è costituita da giovani dai 20 ai 34 anni, due terzi dei quali in possesso di un livello di istruzione medio-alto. Tra le motivazioni della partenza non vi è solo l’impossibilità di trovare un lavoro adeguato alle proprie aspettative, ma anche il divario salariale tra l’Italia e gli altri paesi europei.

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