Il 2021 inizia con dati economici agghiaccianti per l’Italia. L’Istat annuncia che saranno almeno 17 mila le imprese che non riapriranno.
La presenza stabile sui mercati internazionali e la maturità digitale delle aziende si sono confermati fattori importanti per affrontare lo shock della crisi e della chiusura forzata.
I settori meno colpiti sono: l’industria chimico-farmaceutica, i servizi finanziari e assicurativi e i servizi informatici e delle telecomunicazioni. Essendo tra i comparti cui la crisi ha richiesto un maggiore impegno produttivo.
All’estremo opposto, la filiera dell’accoglienza e della ristorazione hanno avvertito in modo pesante gli effetti del lockdown. Il 23,6% di queste imprese valuta la chiusura definitiva.
Molto critiche sono, inoltre, le prospettive di recupero per il comparto del turismo. Settore che oltre ad aver sofferto gli effetti della perdita di fatturato per la chiusura delle attività (con tempistiche più lunghe rispetto ad altri settori) è anche penalizzato dal protrarsi delle limitazioni nei flussi turistici dall’estero.
Nonostante la forte carenza di liquidità, solo una piccola parte degli imprenditori italiani ha fatto ricorso ai finanziamenti garantiti dallo Stato*. Per assicurarsi le necessarie risorse economiche le imprese italiane hanno preferito far ricorso alle linee di credito tradizionali, nonché alla richiesta di anticipo delle fatture.
Secondo l’ultimo Report di Confindustria, il Mezzogiorno, grazie alla forte presenza di attività alimentari, di benessere e salute, è la zona meno colpita dagli effetti del Covid-19. Mentre è a rischio l’economia Settentrionale. Quest’ultima però potrebbe ripartire più velocemente. Quindi gli effetti nel sud Italia potrebbero essere meno pesanti ma protrarsi più a lungo.
In ogni caso si stima che nessuna regione italiana riuscirà, nel 2021, a recuperare i livelli di fatturato pre-Covid-19.
Le misure che sono state adottate dalle autorità nazionali per contenerne la diffusione hanno inciso in maniera profonda sull’organizzazione delle imprese. Le severe conseguenze tendono a ridimensionarsi con estrema lentezza. Per questo nel sentiment delle imprese italiane prevale l’incertezza. Tale incertezza è determinata soprattutto dalla diffusione a livello mondiale della pandemia. E, ancora, gli elevati investimenti necessari per l’adozione integrata della tecnologia e sistemi gestionali digitali.
Il rilancio economico delle nostre imprese non può prescindere, infatti, dalla digitalizzazione.
Il Covid-19 ha reso necessario il cambiamento della struttura produttiva comportando una vera e propria trasformazione digitale nei settori in espansione.
Per promuovere la digitalizzazione occorre intervenire sugli ostacoli che anche in passato hanno frenato l’adozione delle tecnologie da parte delle imprese italiane.
Primo fra tutti, urge un ricambio generazionale ovvero un incentivo alla valorizzazione delle competenze informatiche dei nostri giovani talenti, troppo spesso costretti ad emigrare.
Bisogna, dunque, perseguire una crescita in tal senso, non solo nelle aziende private ma anche nelle Pubbliche Amministrazioni.
La ripartenza delle nostre imprese dipenderà dalla capacità del Governo di attuare misure mirate ed efficaci. Fortunatamente lo studio rivela che le risorse dichiarate dal Governo sono sufficienti per evitare la crisi delle PMI e la profonda recessione. Occorre però immettere tali risorse nel sistema economico in modo veloce e diretto, senza perdere tempo.
*Introdotti dal Decreto liquidità