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Mismatch: alle origini del paradosso

Nonostante le aziende lamentino di non trovare oltre il 30% delle posizioni lavorative richieste, il tasso di disoccupazione tra i giovani nella fascia di età 15-34 si attesta attorno al 17%. Ancora: sebbene il numero dei laureati in Italia sia tra i più bassi in Europa, quasi la metà di essi è troppo qualificata per il lavoro che svolge. Siamo di fronte a un paradosso? Approfondiamo queste dinamiche prima di affrontare la situazione in maniera più specifica.

Avere meno di 34 anni tra disoccupazione, sovra-istruzione e imprese che non trovano personale.

Il ritratto della situazione lavorativa della nostra generazione potrebbe essere rappresentato da una tela surrealista. Un’unica dimensione che racconta il paradosso della coesistenza di condizioni quali disoccupazione, sovra-istruzione e incapacità delle imprese di reclutare personale.

Le parole sono importanti

Con mismatch ci si riferisce al disallineamento tra percorsi di formazione e sbocchi occupazionali. L’espressione over-education significa sovra-istruzione e si trova spesso accompagnata dal termine sotto-inquadramento. Si parla di sovra-istruzione quando un individuo possiede un livello di istruzione superiore a quello necessario per svolgere una certa professione; mentre sotto-inquadrato è un lavoratore che svolge una mansione che richiede il possesso di minori competenze e abilità rispetto a quelle effettivamente possedute (in inglese over-skilled). In entrambi i casi il fenomeno ha conseguenze negative tanto per l’individuo che non vedrà realizzarsi il risultato professionale ed economico atteso dall’investimento scolastico, quanto per la società a causa del sottoutilizzo del potenziale economico del capitale umano disponibile.

La disoccupazione persiste

In Italia le opportunità occupazionali per i giovani, a prescindere dal titolo di studio, sono più ridotte rispetto a quelle rilevate per le fasce di popolazione di età adulta. Il tasso di disoccupazione degli under 35 è infatti doppio rispetto a quello della coorte 35-49 e più che triplo di quello che si registra tra gli over 50. Nel dettaglio, mentre il tasso di disoccupazione nazionale è del 9,8%, quello della popolazione tra i 15 e i 34 anni è pari al 17,8%. La disoccupazione prettamente giovanile, invece, che interessa la fascia d’età 15-24, si attesta al 25,7%.

La sovra-istruzione dilaga

Secondo le indagini dell’ISTAT, nel 2018 solo il 73,7% dei poco più di 2 milioni di laureati compresi nella fascia d’età 20-34 aveva un’occupazione, percentuale che si abbassava tra i diplomati rispettivamente al 64,4%. Le statistiche, infatti, evidenziano che i giovani laureati abbiano maggiori opportunità di lavoro rispetto ai diplomati.

Tra gli occupati quasi la metà dei laureati svolgeva una professione per la quale era troppo qualificata (più della metà in riferimento ai diplomati); condizione che sembra confermarsi nel tempo dal momento che la percentuale rimane superiore al 40% anche a 6 anni dal primo lavoro. Alcuni studi ritengono che siano necessari addirittura 15 anni affinché la percentuale si allinei alla media della popolazione (ISFOL, 2014).

La sovra-istruzione, quindi il mismatch tra formazione e lavoro, coinvolge il 36% dei giovani in possesso di una laurea triennale, mentre balza al 46,2% tra coloro che hanno conseguito una laurea magistrale. Le più svantaggiate sono le giovani donne laureate occupate (44,4% rispetto al 38,7% degli uomini), consolidando una tendenza che di anno in anno sembra non dare segni di cambiamento. Questi numeri sono aumentati ininterrottamente a partire dalla fine degli anni Novanta, accelerando in modo considerevole nel periodo di crisi post 2008.

Sorprendentemente, e allo stesso tempo, il numero dei laureati in Italia è tra i più bassi in Europa e nel 2019 è rimasto pressoché invariato posizionando il nostro paese al penultimo posto nell’Eurozona (prima della Romania) per quota di giovani in possesso di un titolo di studio terziario.

Ma le aziende non trovano personale

Quante volte abbiamo sentito i soliti mantra: l’azienda tal dei tali cerca personale specializzato ma non riesce a trovarlo; i giovani sono troppo choosy e non vogliono più lavorare come cuochi, camerieri, conduttori di mezzi di trasporto, operai; non ci sono abbastanza laureati in discipline scientifiche, ingegneristiche, informatiche, digitali, e così via.

Secondo quanto riportato dalla CGIA di Mestre nel rapporto di inizio 2020, infatti, un anno fa gli imprenditori consideravano il 32,8% delle assunzioni previste a gennaio di difficile reperimento a causa dell’impreparazione dei candidati o, addirittura, per la mancanza degli stessi. Questa tendenza, nonostante la pandemia, trova conferma anche a fine anno: delle quasi 800 mila posizioni richieste tra dicembre 2020 e febbraio 2021 il 33% non si trova.

Dove si origina il paradosso?

Le lamentele delle aziende trovano, in parte, giustificazione nella realtà. Ma la verità è come un diamante: ha molte sfaccettature, ed ognuna di esse ci racconta solo una parte di un fenomeno multidimensionale. Vi racconteremo, senza pretesa di esaustività, alcune di queste dimensioni esaminando da un lato le scelte lavorative e formative dei giovani diplomati e, dall’altro, la struttura del mercato del lavoro.

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