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Franceschini ter: la cultura non se lo merita

Il nuovo “Ministro della Cultura” non è niente di meno che il solito Dario Franceschini. In questo terzo mandato prenderà finalmente in considerazione le reali priorità del settore o continuerà a fare del ministero il suo dominio personale?

Nuovo governo, nuovi ministri. Peccato che per quanto riguarda il settore dei beni culturali, l’unica cosa ad essere cambiata è stata la dicitura del titolo: da “ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo”, si è passati ad un più ridotto “ministro della Cultura”. Il titolare però è sempre lui: Dario Franceschini.

Per giorni avevamo sperato che la crisi di governo si trasformasse in un’occasione per liberarci di Franceschini, per molte ragioni. Stavamo quasi per azzardare l’ipotesi che il nuovo arrivato avrebbe finalmente preso in mano la situazione del precariato nel settore culturale, della carenza di personale, del riconoscimento dei lavoratori. 

E invece niente, il regno di Franceschini continua. Il ministro ferrarese ha infatti conquistato il primato di ministro dei beni culturali più longevo nella storia della Repubblica italiana: questo è il suo terzo mandato (il primo 2014-2018, il secondo 2019-2021). 

Ma perchè tutti se ne vorrebbero liberare?

Essenzialmente, perché Franceschini ha fatto del Ministero il suo dominio personale, guidandolo per il proprio tornaconto politico e senza nessuna competenza specifica su ciò che amministra (è laureato in Giurisprudenza). Per questo, da alcuni è stato addirittura definito “Re Sole”.

Senza dimenticare che nel concreto ha combinato ben poco. È un ministro che per anni ha parlato parecchio, quasi troppo, senza mai agire. Ha appoggiato iniziative come le giornate del Fai d’autunno ed altri progetti costosi e superflui, invece di risolvere quello che davvero conta: il precariato, l’abuso di volontari, l’incredibile carenza di personale, i concorsi bloccati. Per tutte queste situazioni non si è di certo risparmiato in dichiarazioni, interviste e promesse, elargendo tante belle parole. Durante l’ultima, che risale a poche settimane fa, ha dichiarato che intervenire in questo senso significherebbe

“dare la possibilità di uno sbocco adeguatamente riconosciuto a tutte le persone che hanno studiato (e sono tante) e che si sono professionalizzate nel settore dei beni culturali nel nostro paese, sia contemporaneamente di dare funzionalità ed efficienza al ministero che, come in generale tutta la pubblica amministrazione, ma in particolare anche nel mio settore, ha un un’età media molto avanzata, che richiede innesti di giovani competenze, di tecnologie, di competenze nuove e al passo coi tempi”.

Tutto molto bello, ma poi cos’è stato fatto concretamente? Assolutamente nulla. E di queste dichiarazioni, nei quasi 7 anni di ministero di Franceschini, ne sono state fatte parecchie.  Tutta propaganda, come sempre. 

La priorità in questo momento dovrebbe essere avviare un copioso piano di assunzioni, sbloccare i concorsi e regolamentare una volta per tutte la disciplina delle esternalizzazioni. La Pubblica Amministrazione italiana sta pericolosamente invecchiando: sempre più pensionamenti, sempre meno nuovi concorsi. Anche perché, diciamolo: i maxi concorsi di vent’anni fa non ci sono più, sostituiti da prove concorsuali da 1, massimo 2 posti banditi, a fronte di migliaia di candidati. Quanti sono i dipendenti pubblici sotto i 34 anni nella pubblica amministrazione? Soltanto il 2%. Oltre 200mila i posti pubblici persi negli ultimi dieci anni, e sempre più spesso si verifica quella situazione per cui gli impiegati competenti e motivati si ritrovano circondati da una parte da colleghi sempre più vecchi e dall’altra da un esercito di precari che conta ormai 350mila persone.

E nel frattempo i servizi offerti peggiorano, i siti vengono abbandonati, i musei chiudono per mancanza di personale, i professionisti della cultura si vedono costretti a reinventarsi e fare altro. 

E ancora, le priorità sono anche altre: risolvere la situazione delle guide turistiche che sono da anni in balìa di una riforma che mai non arriva; dare finalmente un riconoscimento agli istituti AFAM (formazione artistica e musicale come accademie e conservatori), considerati ancora oggi lauree di serie B; bloccare gli imbarazzanti “tirocini di orientamento” che coinvolgono dottorandi e ricercatori, pagati 1000 euro lordi al mese. 

Il problema è che di queste cose se ne parla da anni, ma nel concreto non sembra sia servito a qualcosa. 

Ma non disperiamo, non ci sono solo brutte notizie all’orizzonte: è di pochi giorni fa la notizia dell’istituzione di un tavolo permanente per la tutela dei lavoratori degli istituti e luoghi della cultura, con tanto di decreto. Il tavolo avrà l’obiettivo di risollevare i lavoratori dalla crisi provocata dalla pandemia e valutare opportune iniziative di contenimento dei danni. È  stato definito “un nuovo spazio istituzionale per un costante ascolto delle esigenze dei professionisti”. 

Si spera che questa iniziativa possa fare anche molto di più, e diventare uno strumento utile per creare consapevolezza sulle pessime condizioni del mercato del lavoro del settore, e identificare i metodi per risolverle. 
Certo, pensare che per fare questo piccolo passo ci volesse una pandemia globale non è esattamente lusinghiero.

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