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Perchè nessuno parla della disoccupazione giovanile?

I numeri sono allarmanti e lo stupore aumenta se si confrontano i nostri dati con la media europea. Il nostro non è un paese per giovani, lo sappiamo. La pandemia non ha fatto altro che consolidare questa idea.

Una nuova analisi dell’Istat  ha evidenziato un dato preoccupante: il tasso di disoccupazione giovanile è salito ancora. 

Dopo un (breve) periodo in cui sembrava che le cose stessero cominciando ad andare meglio dopo la crisi del 2008, ecco di nuovo crescere il numero di giovani senza lavoro.

Secondo l’Istat infatti, è al momento disoccupato quasi 1 italiano under 24 su 3 (più del 31%). I 25-34enni se la cavano un po’ meglio: il tasso di disoccupazione si quantifica al 16%, ma è comunque aumentato dell’ 1,4% rispetto al 2019.

Siamo ufficialmente saliti sul podio europeo per giovani disoccupati: se al primo posto troviamo la Grecia (dove il tasso di disoccupazione è del 40%)  e al secondo la Spagna (32%) , subito dopo c’è l’Italia

La media europea per la stessa fascia d’età si aggira invece intorno al 12%: una bella differenza rispetto al nostro 31%. Che sia il caso di intervenire?

Sarà scontato prendere il Covid-19 come capro espiatorio, ma purtroppo gli effetti del lockdown sono stati realmente molto pesanti sul mercato del lavoro. La crisi economica è una realtà, e molto si è detto sul fatto che sono principalmente i giovani a pagarne gli effetti

Il blocco dei licenziamenti imposto dal governo poco è servito se non a salvare il posto di chi aveva già un lavoro stabile, penalizzando (come al solito) chi non ce l’ha.  E sotto i trent’anni il lavoro stabile se lo possono permettere in pochi: il precariato è una realtà fin troppo comune e tra stage, apprendistati, tirocini formativi e curriculari, contratti a progetto, collaborazioni a vario titolo, contratti a tempo determinato di pochi mesi e altre fantasiose formule a scadenza breve o brevissima, la sicurezza del “posto fisso” è diventata ormai un lusso.

Per chi ha questo tipo di contratti brevi, senza diritti né tutele, il provvedimento ha solo momentaneamente impedito il licenziamento. Di fatto sarà solo rimandato alla prossima scadenza del contratto stesso – cioè probabilmente tra pochi mesi. 

In questo periodo, mentre il numero dei lavoratori over 50 è aumentato, circa 300mila giovani hanno perso il lavoro. Altri 428 mila lavoratori dipendenti con contratto inferiore a 6 mesi non hanno ottenuto il rinnovo. Le ragazze licenziate sono state oltre 330mila.

Più del 70% dei giovani è stato influenzato negativamente dalla pandemia: lo sottolinea il rapporto “Gioventù e Covid-19: impatti su lavoro, istruzione, diritti e benessere mentale”  dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Secondo lo studio, il 38% dei ragazzi è incerto sulle proprie prospettive di carriera a causa della crisi del mercato del lavoro, mentre il 42% di chi già lavora ha subito una riduzione del reddito.

Come al solito, l’Italia si presenta un paese basato sulla gerontocrazia: nello stesso momento in cui migliaia di lavoratori vanno in pensione grazie a Quota100, la metà dei trentenni italiani vive ancora con i genitori perché non si può permettere una casa propria.

La situazione sembra alquanto preoccupante, eppure ad oggi non c’è traccia di un provvedimento per tentare di risolverla. La nostra classe politica sembra interessata solo al presente e opera senza preoccuparsi minimamente di proporre le riforme a lungo termine necessarie per la tutela della nostra generazione.

I miliardi del decreto “Rilancio”, sono stati impiegati per fornire aiuti a famiglie ed imprese, a varie categorie in difficoltà e per sollevare interi settori come il turismo e l’editoria. 

E i giovani? 

Per dirne una, negli oltre 250 articoli del decreto la parola “giovani”  compare solamente due volte. La prima, in riferimento all’assunzione di personale sanitario (art. 83). La seconda quando si parla dell’intensificazione dell’attività di ricerca e dell’istituzione di nuove borse di studio per i dottorandi (art. 238). 

Stop.

Nessun riferimento alla disoccupazione giovanile, nè al precariato, e neppure alle forme di lavoro atipico (stage e tirocini in primis) che ci stanno complicando non poco l’accesso al mercato del lavoro (quello vero).

Per quanto ancora saremo ignorati da chi dovrebbe invece rappresentarci? 

Non c’è traccia di percorsi che prevedano l’inserimento lavorativo in azienda dei neolaureati, che non siano tirocini sottopagati o addirittura gratuiti. Basti pensare che in alcune regioni italiane il rimborso spese è fissato dalla normativa in 300 euro al mese. Addirittura è perfettamente legale che esistano contratti full time senza stipendio, “per fare curriculum”. I dottori in Medicina devono aspettare anche anni per ottenere la borsa di specializzazione e completare il percorso di formazione e poter iniziare a lavorare. Moltissimi sono costretti a scappare all’estero perchè in Italia non ci sono prospettive e non c’è possibilità di carriera: come biasimarli, quando ci sono paesi che offrono ai neolaureati il triplo dello stipendio offerto in Italia?

Anche perché l’inserimento dei laureati oggi prevede quasi sempre un tirocinio o un apprendistato, o ancora peggio, l’apertura forzata della partita IVA.

E’ incredibile come queste situazioni paradossali siano state ignorate del tutto anche al momento di progettare le misure che avevano l’obiettivo di “far ripartire il paese”.

Un paese, per ripartire, dovrebbe in primis pensare al futuro. Ma come al solito, le misure a lungo termine vengono disdegnate, in favore di provvedimenti sicuramente più immediati, ma raffazzonati e superficiali, imbastiti in fretta e furia e del tutto inutili dal punto di vista pratico.
Rattoppare un sistema che è già sull’orlo del baratro non è la soluzione.

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