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Quanti anni di lavoro servono per ripagare la laurea?

In Italia, paese in cui la differenza di stipendio in base al titolo di studio è una delle più basse d’Europa, quanto conviene – economicamente – laurearsi?

Per quanto la laurea rappresenti sicuramente un fattore importante per trovare un buon lavoro e favorire la crescita personale, a volte è necessario ponderare la scelta con calcolatrice alla mano. A livello monetario, conviene davvero nel nostro paese?

Una recente analisi del Sole24ore ha messo in confronto le vicende professionali di due ragazzi: un diplomato che inizia a lavorare subito finita la scuola e un’altro che decide di intraprendere gli studi universitari. Considerato che il laureato alla fine avrà uno stipendio migliore del diplomato – e non è scontato, ma ne parleremo più avanti – ne è risultato che per recuperare le spese della laurea gli occorreranno in media 15 anni di lavoro. 

Il luogo di residenza ha un grosso impatto: ad esempio si è scoperto che in alcune province della Toscana e della Sardegna di anni di lavoro ne servirebbero più di 50. 

E’ difficile dare una risposta sola e ben determinata: molto dipende dal tipo di lavoro che si va a fare e dalle spese sostenute per l’università: un fuorisede spenderà molto di più che uno studente che continua ad abitare con i genitori.

Nel conteggio si considera anche il mancato reddito lavorativo per gli anni universitari: se un diplomato inizia a lavorare subito dopo i 18 anni, per un universitario ne dovranno passare – come minimo – altri tre.

Non sono da ignorare nemmeno le spese universitarie: tasse, eventuale affitto se fuorisede, libri, abbonamenti del treno eccetera, che vanno a incidere parecchio sul conteggio finale.

La retta universitaria, in particolare, copre una grossa fetta delle spese complessive: il nostro paese vanta le tasse universitarie tra le più alte d’Europa: sopra di noi ci sono soltanto Regno Unito e Olanda. 

Un’analisi del FattoQuotidiano confronta l’Italia con gli altri paesi europei e il risultato è a dir poco pietoso: in molti paesi del nord (Danimarca, Finlandia, Germania, Svezia, ma anche in Austria) l’università è gratuita. In Italia invece dobbiamo sborsare per le università statali da un minimo di 500 euro annui a oltre 2000. Esiste un sistema basato sul reddito della famiglia d’origine che consente riduzioni ed esenzioni per gli studenti più in difficoltà, ma a causa della mancanza di fondi molti non riescono a ottenerle anche se ne hanno i requisiti. A malapena il 9% degli studenti può infatti contare su una riduzione delle tasse universitarie o su una borsa di studio, mentre in Germania è il 25% e in Francia il 40%.

Ad ogni modo, ottenuto l’agognato titolo ci si addentra finalmente nel mondo del lavoro, ma le sorprese non sono finite. La differenza di stipendio tra un diplomato e un laureato nel nostro paese è particolarmente bassa. Parliamo di un misero 19% in più nel salario dei laureati rispetto a quello dei diplomati. 

Molto dipende dal tipo di laurea e dalla necessità o meno della stessa per svolgere un dato lavoro. Un dottore dell’ambito delle professioni sanitarie avrà ovviamente un buon stipendio, ma lo stesso non si può dire di un laureato in materie umanistiche o economiche. Considerando che in Europa la maggiorazione è mediamente il doppio (38%) si inizia a capire perché negli ultimi anni stiamo assistendo al fenomeno dei cervelli in fuga all’estero.

Di un altro aspetto ne avevamo parlato qui: in Europa il nostro paese è quello che meno garantisce un’occupazione sicura dopo l’università: in molti risultano ancora disoccupati dopo tre anni dal conseguimento del titolo, e altrettanti svolgono lavori per cui sono iperqualificati.

Tutto deve essere infine ponderato al tipo di laurea e al tipo di professione: è chiaro che alcuni lavori possono essere svolti solo con una laurea (medico, avvocato, insegnante), ma che succede se analizziamo le professioni in cui la laurea non è necessaria, ma solo un plus?

Ad esempio, un impiegato commerciale che in azienda si occupa dei rapporti con l’estero percepisce uno stipendio più alto se ha una laurea in lingue o in commercio internazionale?

Nella maggior parte dei casi, la triste risposta è no.

Certo, una laurea fornisce conoscenze più ampie sulla cultura dei paesi esteri e le loro tradizioni, utile se si vuole costruire un rapporto empatico con i clienti stranieri, ma quasi sempre per questo lavoro è richiesto solo un buon livello di lingua e qualche conoscenza di base di contabilità.

Stessa cosa succede al personale di biglietteria e front office dei teatri, dei musei e delle biblioteche: la laurea presuppone più sensibilità sul lavoro che si svolge, ma oggettivamente porta a una paga più alta? Assolutamente no.

Ci troviamo dunque in un’assurda situazione in cui i 25enni italiani sono divisi in due categorie: i diplomati, che lavorando già da sei o sette anni sono indipendenti e vedono come imminente l’avvio di una loro famiglia. Dall’altra i laureati o neolaureati, che nella migliore delle ipotesi sono in stage retribuiti 400 euro al mese.Il nostro non è un paese per giovani, lo sappiamo. Ma quanto ci vorrà perché si inizi ad investire in politiche serie e strutturate perché lo diventi?

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