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Cercasi direttore museale, ma senza stipendio

Sembra assurdo, ma nei Beni Culturali bandi di questo genere sono all’ordine del giorno. Il volontariato sta soppiantando il lavoro retribuito?

In questi giorni il Museo Regionale della Ceramica di Deruta (PG) ha indetto un bando per il nuovo direttore: un profilo di altissimo livello – laurea, esperienza pluriennale in gestione di strutture museali e di partecipazione a comitati scientifici, comprovate competenze di tutela e valorizzazione – destinato a dirigere il più antico museo italiano sulla ceramica. Le mansioni saranno di massima responsabilità, dal coordinamento dei progetti culturali alla soprintendenza delle raccolte.

Il tutto….gratis.

Viene da chiedersi come sia possibile concepire una proposta del genere, a maggior ragione da parte della pubblica amministrazione. La notizia ha sollevato pesanti critiche a cui il sindaco di Deruta ha ribattuto in modo demenziale. Non solo ha dichiarato che lavorare gratis nei musei è del tutto normale e che il prestigio e l’esperienza che ne derivano sono un compenso già più che adeguato, ma che sarebbe “da irresponsabili” destinare parte del bilancio comunale all’assunzione di personale.

Non fa una piega. D’altronde, perché mai un professionista del settore con un percorso formativo specialistico e un’esperienza pluriennale dovrebbe pretendere una retribuzione, quando può ricavarne del prestigio e una nuova voce per il curriculum?

Nulla di nuovo, per chi bazzica nel settore della cultura. Bandi di questo genere sono all’ordine del giorno, e analizzandoli ci si rende conto di quanti servizi culturali stiano in piedi soltanto grazie ai volontari utilizzati per sopperire alle mancanze di personale.

La stessa cosa è capitata l’anno scorso al Museo Comunale d’Arte Moderna, dell’Informazione e della Fotografia di Senigallia (AN), di cui si cercava il “direttore-coordinatore tecnico” che avrebbe dovuto prestare la propria professionalità per tre anni gratuitamente, o al limite ricevendo un rimborso delle spese (ma soltanto quelle strettamente necessarie ed opportunamente documentate).

Ma non finisce qui.

Ci sono anche iniziative che passano più inosservate: è il caso dei bandi per le candidature a “Capitale italiana della cultura”. Ogni anno, molte città italiane propongono la propria candidatura con un dossier di progetti, eventi, iniziative ed idee che vengono giudicate da una commissione ministeriale. La città che presenta il dossier più interessante viene eletta Capitale della Cultura per l’anno in corso e riceve dei fondi per realizzare le iniziative.

Ma quando c’è di mezzo del lavoro di progettazione culturale, il volontariato non manca mai. Ed ecco apparire fantasiosi bandi, concorsi, selezioni, “call” per trovare le idee che di base andranno a costituire il dossier per la candidatura.

È successo a Volterra (PI), a Castellammare di Stabia (NA), a Isernia, a Parma: le amministrazioni, con la giustificazione di promuovere la “cittadinanza attiva” e il “coinvolgimento del territorio” hanno indetto dei concorsi per raccogliere proposte progettuali, slogan, loghi e impianti grafici, idee per eventi ed iniziative idonei a formare il dossier da presentare al Ministero. Gli autori degli elaborati – enti e soggetti privati – dovevano cedere tutti i diritti e il libero utilizzo al comune. In diversi casi il bando non manca di puntualizzare con tanto di grassetto che non saranno previsti premi in denaro, né compensi di nessun tipo. Anzi, nel caso di enti e associazioni si richiede addirittura l’autofinanziamento delle proposte in cambio di visibilità.

A Roma, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea sono dei volontari che si occupano della guardiania e della vigilanza delle sale, gratuitamente. E l’avviso pubblico è stato pubblicato con tanto di turni di lavoro indicativi: mattina 8.00-14.00, pomeriggio 13.50-19.50.

Ma ci sono anche casi in cui sembra che lavorare gratis non basti: sempre a Roma gli artisti aderenti all’iniziativa nazionale “Notti al Museo” avrebbero anche dovuto sobbarcarsi le spese dell’assicurazione (obbligatoria). Per l’occasione era stato pubblicato un bando per artisti disponibili ad esibirsi nel centro storico. Tutto molto bello, peccato che la retribuzione era assente e la tariffa dei diritti d’autore e la polizza assicurativa fosse a carico loro. In questo caso, fortunatamente, dopo una serie di proteste il bando fu ritirato.

E se alcune volte le proteste vengono ascoltate, in altre occasioni il volontariato viene difeso a spada tratta. Il Polo Museale dell’Emilia Romagna (a cui fanno capo i più importanti musei della regione) ha dichiarato di “riconoscere il valore sociale del volontariato come espressione di partecipazione e solidarietà” e che la carenza di personale e la mancanza di fondi rendono opportuno ed economicamente conveniente ricorrerci. Ed ecco apparire lavoratori senza stipendio in tutte le realtà museali della regione, con mansioni di biglietteria, guardiania, organizzazione mostre e catalogazione delle opere.

L’apice forse è stato raggiunto dall’amministrazione di Firenze, che qualche anno fa in occasione di una serie di eventi tradizionali in città ha pensato bene di aprire le selezioni per un fotografo con partita Iva che si occupasse di immortalare i momenti salienti delle manifestazioni. Ovviamente nessuna retribuzione, ma in cambio si offriva l’autorizzazione ad inserire nel proprio curriculum la dicitura “Fotografo ufficiale Tradizioni popolari fiorentine”. La questione ha sollevato un polverone mediatico, e poco dopo il bando è stato eliminato.

La fantasia non manca nemmeno al Comune di Nuoro, che ha trovato un modo ancora più originale per compensare il lavoro gratuito: un bando per 10 volontari per il sistema museale cittadino disponibili a lavorare (se così si può dire) anche nei giorni festivi, retribuiti in niente di meno che biglietti omaggio per gli stessi musei. Incredibile.

Insomma, sembra che occuparsi di cultura in Italia non sia considerato un vero lavoro, ma piuttosto una specie di passatempo. Il compenso è sostituito in molti casi dalla visibilità, dal prestigio e dal “fare curriculum”. E ci si trova alla fine con un CV stratosferico, ma che non comprende neanche un lavoro vero.

È chiaro che la gavetta in molti casi sia utile per fare esperienza, imparare e aprirsi nuove porte, e che da un lato i neolaureati debbano accontentarsi di stage con paghe ridotte a fronte dell’arricchimento formativo.

Ma non confondiamo le reali opportunità formative – investimenti che danno oggettive prospettive – con il volontariato, il lavoro gratuito e lo sfruttamento ad oltranza. Sono cose diverse e andrebbero ben distinte.

Viene da chiedersi allora perché in questo settore c’è così largo uso di volontari. Semplice, c’è una legge che lo prevede. La legge Ronchey del 1993 ha infatti individuato nella collaborazione con associazioni di volontariato un’importante risorsa sociale.

Purtroppo negli anni l’uso del volontariato è stato sempre più abusato, e siamo arrivati al punto in cui interi enti della cultura sono gestiti quasi totalmente da volontari. Il volontariato non può sostituire il lavoro: è evidente che l’intero impianto necessiti di uno stravolgimento, fondamentale per dare dignità professionale a chi ha studiato e si è visto costretto a mettere a frutto le sue competenze gratuitamente.

Una delle realtà più attive in questo senso è Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, collettivo nato nel 2015 con l’obiettivo del riconoscimento professionale dei lavoratori del settore attraverso attività di sensibilizzazione, petizioni e proteste.

Anche noi di Generazione Zero siamo convinti che dare visibilità a queste situazioni sia il primo passo verso la tutela dei diritti dei giovani lavoratori della cultura e la loro piena realizzazione professionale.

Che poi, alla fine, davvero il volontariato fa curriculum? Emblematico l’esempio di qualche mese fa di una delle cooperative affiliate al MIBACT. Si cercavano bibliotecari con titoli adeguati e almeno 1 anno di esperienza. A sorpresa, nel conteggio dei 12 mesi “non sono considerati idonei gli stage, i tirocini, volontariato, servizio civile, formazione all’interno di percorsi scolastici o post scolastici”.

Fate voi i conti.

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