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Fare il Dottorato di ricerca in Lettere: conviene davvero?

A causa della mancanza di fondi, vincere una borsa di dottorato sembra sempre più difficile. Ma alla fine quali sono gli sbocchi? La storia di Davide, 27 anni, laureato in Lettere e indeciso a proseguire gli studi.

Dopo essermi laureato in Lettere classiche con il massimo dei voti il mio relatore di tesi mi ha parlato per la prima volta di dottorato: era stato molto soddisfatto del mio lavoro e diceva che secondo lui avrei potuto farci un pensiero. 

Il dottorato di ricerca – il cosiddetto PhD – rappresenta il grado massimo di istruzione universitaria e si può accedervi tramite i bandi che vengono pubblicati ogni anno dalle università: si partecipa ad una sorta di concorso in cui viene valutato ogni candidato attraverso l’analisi del curriculum e un colloquio. Per le borse offerte dalle università è necessario presentare anche un progetto di ricerca, che viene valutato in sede di colloquio. La commissione che si occupa della valutazione varia di anno in anno e spesso include professori provenienti da diversi dipartimenti. Nel caso di Lettere, a volte la scuola di dottorato include anche Linguistica; ne deriva che la valutazione è un po’ un terno al lotto visto che possono essere presenti docenti con interessi variegati. Per vincere il posto, oltre a un buon curriculum e un progetto interessante, è fondamentale avere i contatti giusti e le referenze di valore. I meccanismi sociali all’interno dei dipartimenti sono complessi, e di frequente capita che a parità di curriculum ha un peso decisivo il professore da cui si viene patrocinati. Alla fine viene costruita una graduatoria basata sui punteggi, ma le possibilità di entrare sono molto ridotte a causa dell’altissima concorrenza e dei pochissimi posti: è stato calcolato che a causa dei continui tagli i posti disponibili in Italia siano stati quasi dimezzati negli ultimi dieci anni*. Di questi, quelli dedicati alla ricerca per le discipline umanistiche sono molti meno di quelli offerti per la ricerca scientifica. Altra discriminazione riguarda la borsa offerta dall’ateneo: per le materie letterarie tendenzialmente sfiora a malapena i 1000 euro al mese e se si va fuori dai tempi massimi si perde l’intero importo. 

Una delle perplessità più comuni quando si parla di attività di ricerca nelle discipline letterarie riguarda l’utilità stessa della ricerca, i cui obiettivi si discostano di molto da quelli della ricerca in medicina o in biotecnologie, che hanno sicuramente un fine utilitaristico immediato e concreto. Lo scopo principale in questo caso è formare i docenti universitari e i professionisti della cultura del domani e fornire loro una preparazione di prim’ordine. In ciò non c’è un beneficio pratico sul momento, ma credo al di là dei fini utilitaristici investire nella cultura nel lungo periodo possa arricchire le persone. Purtroppo in Italia non c’è questa sensibilità, anzi piuttosto la cultura viene percepita come fine a se stessa: un‘altra delle tantissime contraddizioni che caratterizzano il nostro paese, così ricco di arte e di storia. 

Il percorso dura 3 anni, al termine dei quali si presenta una tesi e si è proclamati dottori di ricerca. A questo punto molti tentano la carriera accademica, anche se solo 1 su 10 arriva all’obiettivo*. Gli altri si buttano nel mercato del lavoro carichi di un titolo di prestigio che dovrebbe riservargli il meglio: invece non è così. In Italia il titolo di studio non è valorizzato, anzi, spesso i datori di lavoro preferiscono chi è meno titolato ma ha più esperienza. In più, il salario medio di un dottore di ricerca è molto simile a quello di un laureato, con l’aggravio che entrando nel circolo tre anni dopo, si rimane precari anche fino ai 35 anni. Certo, si può contare su una preparazione di primo livello, ma a che scopo se questa non viene concretamente riconosciuta? 

Alla fine ho rinunciato. Nel mio caso, il mio professore mi aveva avvertito che non avrebbe avuto abbastanza potere all’interno della commissione per poter appoggiare una mia candidatura al dottorato e darmi la sicurezza di ottenere la borsa. Intraprendere la carriera accademica è una scommessa e non una certezza: molti inseguono questo sogno per tutta la vita ma poi finiscono per essere precari per anni vivendo con assegni di ricerca e poco altro. Bisogna essere disposti a fare sacrifici, c’è molta gente che pur di ottenere il dottorato fa domanda in diverse università al prezzo di doversi spostare anche di centinaia di chilometri o dover andare all’estero, perché qui il dottorato è un investimento molto rischioso e poco tutelato. Non è un mondo facile, non faceva per me. Ora sono supplente di storia e geografia in una scuola media per 4 ore alla settimana, e il resto del tempo tengo ripetizioni di greco e latino. Aspetto come molti altri il concorso insegnanti, il mio sogno è una cattedra al liceo classico. 

* ADI – Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia 

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